Cosa sta succedendo al Milan quest’anno? Come mai una squadra che sulla carta dovrebbe essere nella seconda parte della classifica si ritrova addirittura a due punti dai marziani bianconeri? Nonostante l’ottimo lavoro realizzato dal bravissimo Montella, qualcosa nei numeri non torna. Ma ovviamente non se parla. Sabato abbiamo avuto una dimostrazione lampante di come qualcuno si stia impegnato a lasciare “una buona immagine di sé”. La domanda che nessuno si pone o ha posto in questi giorni è come sia stato possibile che il presunto fuorigioco venga segnalato da Massa, l’unico che non poteva vederlo, mentre l’arbitro e soprattutto il guardalinee erano già a centrocampo senza aver rilevato alcuna irregolarità. L’arbitraggio di Rizzoli nel corso del big match contro la Juve e quello di Guida (rigore inventato su Niang) nella settima giornata contro il Sassuolo, lasciano molto perplessi, e fanno venire in mente una storia che vale la pena di raccontare. Facciamo un passo indietro, anzi molto indietro, ovvero all’epoca di Farsopoli, quando il Milan e il suo front man, il geometra Galliani, uscirono praticamente indenni dallo scandalo farsa del 2006, nonostante le intercettazioni più compromettenti, alcune delle quali venute a galla grazie al lavoro improbo dei difensori di Moggi, fossero proprio quelle riferibili al famigerato Meani, all’epoca dei fatti dirigente addetto agli arbitri del Milan nella stagione sportiva 2004/05. È sufficiente dare una rapida occhiata alla famosa relazioni Palazzi del luglio 2011 (pp. 29 e ss.) nonché agli atti dell’ufficio indagine dell’ AIA, in particolare il deferimento del Procuratore Federale del 2006, per rendersene conto. Le intercettazioni dimostrarono che in determinate occasioni (Milan – Chievo del 20 aprile 2005) - caso unico fra tutti i soggetti coinvolti della vicenda - Meani non solo agiva ed otteneva “l’assegnazione di determinati assistenti per le partite del Milan” ma che, inoltre, una volta ottenuta l’assegnazione “raggiungeva telefonicamente i due assistenti e formulava loro, al fine di alterare lo svolgimento della gara, la raccomandazione di decidere nei casi dubbi in favore del Milan” (pg. 30 Relazione Palazzi). Rimarranno negli annali le telefonate di Meani con De Sanctis (quello che veniva ritenuto il principale “scagnozzo” di Moggi e della sua presunta cupola; associazione deprivata, nel corso dei vari gradi di giudizio, della partecipazione criminosa dei direttori di gara ovvero degli esecutori materiali delle sue supposte macchinazioni). In particolare preme ricordare la mitica intercettazione detta la “madre di tutte le battaglie”, nella quale l’addetto agli arbitri rossonero, alla vigilia del famoso Milan – Juve valido per lo scudetto (ci avevano già fatto fuori Ibra grazie a delle immagini mediaset. Poi, lo sport trionfò con quella sublime rovesciata di Pierino…mi viene ancora la pelle d’oca) si premurava affinché l’arbitro romano non si “inventasse” nulla nei confronti di Nesta, il quale, già diffidato, qualora fosse stato ammonito nel corso della partita con la Fiorentina, antecedente al match scudetto di S. Siro contro la Juve, avrebbe saltato l’incontro con i bianconeri. Ad un certo punto il nostro aggiunge con fare sibillino e “velatamente” intimidatorio: "i nostri giornalisti... tutto l'ambiente è lì che ti aspetta, che se viene fuori una cosina su Nesta ti ammazza". Ma Meani a chi faceva riferimento? Su mandato di chi agiva? Perché è stato l’unico a pagare pesantemente? Vi furono altri episodi che – considerato il clima dell’epoca, caratterizzato dal fatto che l’unico obiettivo da raggiungere fosse quello di disintegrare la Juve moggiana – passarono in sordina. Alcuni di questi eventi ce li ricorda il buon Guido Vaciago in un articolo pubblicato sul portale web di Tuttosport il 30/11/2013, e vedono come protagonista l’amministratore delegato del Milan per antonomasia. “Il dossier di Paparesta, altro arbitro allora in attività: assegnato “in quota” a Moggi dagli inquirenti di Calciopoli, il fischietto si rivolge però a Galliani attraverso Meani perché un suo affare ottenga una corsia privilegiata dal punto di vista politico. E Galliani chiama Meani per rassicurarlo: «Dica che il suo dossier è sul tavolo di Gianni Letta (allora vice premier)». E poi c’è la telefonata divenuta celebre per quello “spinga, spinga”. Meani, infatti, domandava al «grande capo» se poteva spingere, ovviamente facendo capire che era volere del Milan, per «mettere due persone nelle commissioni di Serie C, così abbiamo controllo anche nelle categorie minori che è meglio» e Galliani dava il suo placet. E poi c’è l’incontro con Collina, allora arbitro in attività che cerca di organizzare insieme a Meani un incontro «in un luogo riservato» proprio con Galliani. Incontro che non è mai stato chiarito se sia svolto o meno, ma che rimane un mistero imbarazzante, anche perché in altre telefonate è lo stesso ad rossonero a dire a Meani: «Collina lo chiamo io».”. È sufficiente un minimo di logica e buon senso – anche se non si conoscono punto per punto, alla stregua di noi tifosi bianconeri informati, gli atti e i documenti di farsopoli – per comprendere come quella parte di agiografia farsopolare che vorrebbe Luciano Moggi, nei primi anni del 2000, più potente addirittura dell’allora Presidente del Consiglio e del a.d. dei rossoneri nonché presidente della Lega all’epoca dei fatti, è una boutade senza precedenti. Fa ridere quasi quanto la presunta innocenza e probità, smentita da Palazzi nella medesima relazione di cui innanzi, dei cartoni d’Italia. Chissà per quale motivo i dirigenti juventini non hanno mai sottolineato anche questa disparità di trattamento oltre a quella solare e vergognosa subita nei confronti di coloro che, proprio dopo la relazione del procuratore federale Palazzi, verranno definiti prescritti per antonomasia. Ancor più deprimente constatare che anche secondo i giudici della Cassazione Moggi avesse un’influenza molto accentuata sui media. Già, a mediaset erano tutte spie del nostro Lucianone, e non lo sapevamo. Poveri noi, anche la Cassazione…. Chiudo con un'altra considerazione basata sui fatti, proprio come ogni riga di questo mio scritto (ho voluto citare fonti e documenti proprio per prevenire i tifosi da bar e quelli che scrivono senza conoscere). Quali dirigenti sono rimasti in auge dopo la presunta rivoluzione del 2006? Già, quella rivoluzione che a detta dei benpensanti e di coloro che la propugnavano avrebbe cambiato in meglio il calcio italiano, ma che ebbe come unico esito quello di fare vincere in solitudine chi aveva speso inutilmente un miliardo (letteralmente) nel corso degli anni senza raggiungere alcun risultato rilevante ed eliminare fisicamente una delle più forti squadre e società d’Eruopa, oltre che, nel tempo, portare il nostro campionato ai livelli della legua portuguesa. Moggi e Giraudo commisero un unico peccato, imperdonabile agli occhi dei loro principali antagonisti – che avrebbero fatto carte false pur di portarli dalla loro parte –, ovvero quello di vincere e costruire squadre formidabili senza fare sborsare un soldo alla proprietà. In sostanza avevano sovvertito l’esoso metodo – in un caso vincente, nell’altro clamorosamente disastroso – dei mecenati milanesi.