L’assemblea dei soci della Juventus, svoltasi ieri a Torino, ha lasciato uno strascico polemico che, in un momento alquanto delicato della stagione, i nostri dirigenti avrebbero fatto meglio ad evitare.

La stoccata del presidente Andrea Agnelli rivolta ad Antonio Conte è stata assolutamente fuori luogo, e direi anche fuori tempo.
Sono passati tre anni dal tumultuoso addio “in itinere” di Conte e, a mio modo di vedere, pare un po’ vigliacco tirar fuori storie e fatti di quasi un lustro, soltanto adesso che le cose vanno bene e si possono strombazzare, urbi et orbi, tronfi e compiaciuti, i successi economici di una gestione che, senza l’allenatore salentino e i risultati sportivi da questi raggiunti, probabilmente non avrebbe mai toccato tali livelli in così poco tempo.

I fatti, come sempre, nel tempo tendono a rannicchiarsi negli anfratti più reconditi della storia, in modo tale che ognuno possa raccontare come verità assoluta la propria. Ma per fortuna, esistono i testimoni. E in questa storia, coloro che hanno assistito allo svolgersi degli accadimenti sono milioni di tifosi.

Antonio Conte andò via dalla Juve perché, dopo tre anni di vittorie in un torneo oggettivamente non performante, era giunto il momento a suo parere di alzare l’asticella, puntando all’unico obiettivo che conta veramente in questo momento storico del calcio europeo, ossia la Champions League.

Chiese degli acquisti precisi e un progetto che si rivolgesse in quella direzione, ma gli fu risposto picche. Anzi, probabilmente la risposta della società non fu allora così chiara, tanto che, con ogni probabilità, Conte si rese conto di come stessero realmente le cose soltanto a campagna acquisti in corso, allorché, come è spesso accaduto in questi anni, gli obiettivi di inizio mercato e i tentavi di Marotta&co. sfumarono.

Probabilmente la sua colpa è stata di non capire per tempo – evitando la scelta sgradevole di defilarsi a stagione iniziata – una realtà che, a ben vedere, è da sempre cristallina: alla Juve la società, soprattutto riguardo le scelte che involgono aspetti economici, viene prima di ogni altra istanza e necessità. Le figure apicali dell’impresa sportiva bianconera decidono praticamente su tutto, tranne che sulle opzioni tecniche strettamente legate al campo. Allenatore e calciatori sono lavoratori subordinati che devono obbedire o al più consigliare senza pretendere; rimanendo al loro posto e rispettando i ruoli, altrimenti vanno incontro a conseguenze nefaste.

Senza andare troppo indietro nel tempo, questo modello che nei decenni si è dimostrato più che vincente, ha mietuto vittime illustri. Da Del Piero fino a Bonucci, passando appunto per Antonio Conte.
“L’unica cosa che conta” a Torino è far quadrare i conti, e Conte questo doveva capirlo per tempo. Mi scuso per il gioco di parole, ma calza a pennello! Il resto, compresi i risultati sportivi, è di contorno. Eh sì, perché nella prolusione del presidente Agnelli di ieri c’è un passaggio che indirettamente suffraga indirettamente tale lettura dei fatti.

Dice ad un certo punto Andrea: “L'obiettivo realistico è vincere in Italia e arrivare ai quarti di finale di Champions League ogni anno”. In altri termini, la Champions è un salvadanaio e niente più. Ciò che conta è continuare a vincere in Italia.

Ebbene, se dovessi giudicare questo modo di ragionare e agire – e l’ultima campagna acquisti sta lì a dimostrare quanto sia vero che per i nostri partecipare e riempire il salvadanaio, almeno in Europa, è l’unica cosa che conti –  da uomo equilibrato e razionale quale cerco di essere nella realtà quotidiana, non potrei che condividere e apprezzare. Tenere i conti in ordine, ha evitato fino ad oggi le tarantelle cinesi e ha portato, almeno in patria, a ottimi risultati sportivi.

Tuttavia, da tifoso, ovvero da essere irrazionale e passionale, se non addirittura istintuale, le parole del presidentissimo mi lasciano sgomento.
Alzi la mano chi non pensi e sogni di vedere la propria squadra sul tetto del mondo?? Su 12 milioni, penso che ne rimarrebbero forse un centinaio, così innamorati del claudicante campionato italiano da non pensare mai alla Champions.

Io no!! Ho perso 5 finali (sarebbero sette, ma ai tempi di Atene non ero ancora sportivamente senziente) della Maledetta, e direi di averne i santissimi abbastanza pienotti. Io (tifoso) vado fuori di testa quando sento questa gente che non urla la sua voglia smodata di conquistare la coppa dalle grandi orecchie, definendola un “sogno” (Allegri) o peggio ancora, come ha dato ad intendere Agnelli, un non-obiettivo.

A me (tifoso) dei conti economici della FC Juventus non frega una “cippa”, perché se dovessi iniziare ad approfondire anche questo aspetto, passerei le notti a chiedermi per quale dannatissimo motivo mi ritrovo in Champions a giocare con Sturaro terzino e senza un centrale di livello internazionale, possibilmente integro, che sostituisca Bonucci. E ciò a dispetto dei record incassi del marketpool dello scorso anno e di quelli del fatturato dell’anno in corso.

E allora, tornando ad Antonio Conte, che come tutti noi era anche tifoso della Juve, avendo perso finali sul campo, a differenza dei “poltronisti” da tribuna d’onore, cosa avrebbe potuto fare di fronte a un progetto che percorre logiche essenzialmente di carattere economico e commerciale, assoggettando il risultato sportivo a mero accidente??

A mio modesto parere, per come si sta evolvendo il calcio (e il presidente dell’ECA queste cose le conosce meglio di chiunque altro), i risultati sportivi, soprattutto a livello internazionale, sono esiziali per il raggiungimento di quelli economici.
Una strategia che non punti a creare una squadra che possa competere stabilmente a livello internazionale con le maggiori squadre europee, anche sul piano degli acquisti e degli ingaggi, puntando costantemente al raggiungimento del traguardo finale nella massima competizione continentale (se Barca, Bayern e Real non vincono la champions, la stagione è più di un mezzo fallimento), è una strategia che non porta da nessuna parte.

Detto in termini più espliciti, sotto il profilo dei risultati sportivi, se ogni anno, per fare quadrare i conti, sarà necessario vendere i propri fuoriclasse, mi pare tautologico che non si potrà giammai creare una squadra che si affermi saldamente nel gotha del calcio che conta.

Se la FC Juventus, anche per problemi interni relativi alla gestione familiare della società proprietaria del brand, non è in grado di raggiungere il suddetto obiettivo da sola, a mio parere dovrebbe iniziare a trovare qualcuno da affiancare all’ attuale proprietà, capace di immettere la liquidità necessaria non certo per comprare i Neymar ma almeno per tenere i Dybala.