Ciò che più desta sbigottimento nell’affare Neymar, non è la clausola di 222 milioni di euro, legittimamente pagata dal PSG per assicurarsi uno dei migliori giocatori al mondo nonché il miglior giocatore brasiliano, né la reazione, al limite del ridicolo, del Barca e della Liga spagnola, un campionato che gode di privilegi finanziari e fiscali unici, e nel quale i due maggiori club pagano ai propri tesserati stipendi che risolleverebbero le sorti dell’intero continente africano. No, non è questo che lascia basiti. Lo sconcerto nasce nel momento stesso in cui questi ragazzotti ultra milionari parlano, rilasciando dichiarazioni degne della peggiore annata di miss Italia.

Checché se ne pensi e se ne scriva, da Bonucci ad Alves, passando per Neymar, l’unico motivo per il quale costoro, insieme  alla maggior parte dei calciatori che stanno cambiando casacca in questi giorni di noioso calcio mercato, hanno accettato di giocare in un altro club è il vile denaro.

Si può disquisire all’infinito di liti, incomprensioni e incompatibilità, ma la verità è una sola. Il sig. Bonucci e il sig. Alves si sono presentati a batter cassa e gli è stato dato il ben servito. Neymar guadagnerà, lui e la sua famiglia, una barcaccia di soldi, ed in più potrà anche essere finalmente l’uomo immagine di un club, senza essere costretto a racimolare i rimasugli di fama lasciati dal più forte al mondo.

 Donnarumma, ribattezzato “Dollarumma” dagli stessi accalorati tifosi che ieri lo esaltavano in sessantamila a S. Siro, tramite quel figuro sconcertante di Raiola, ha tirato su tutto il caos di inizio estate solamente per un unico scopo: riempire di sonanti soldoni le proprie tasche, quelle del suo procuratore e della sua famiglia, per il presente (al limite della tragicommedia il milioncino regalato al fratello) e per le prossime tre generazioni.

La felicità, la famiglia, i bisogni primari e secondari, non centrano una cippa. Sono solo, esclusivamente motivi economici a muovere questi personaggi e a regolare il mercato nel quale ricoprono né più e né meno che il ruolo di merce di scambio.

Pertanto, prego, imploro, scongiuro questi ragazzotti iper tatuati e ricchi da far paura, di non rilasciare dichiarazioni simili a quelle proferite dal collega Neymar. Non scadiamo nel ridicolo. Un minimo di dignità signori miei non fa male a nessuno.

Dite che non è così? Mai prova fu più provata. Confrontate gli stipendi di questi soggetti prima e dopo il trasferimento. Confrontate i compensi, prima e dopo il trasferimento, della maggioranza dei giocatori di un certo livello in circolazione.

Alex Sandro, tanto per citare un altro esempio, vuole guadagnare di più, ma in questo caso pare che i nostri stiano facendo un’eccezione. Dybala – come prima di lui Pogba –  di fronte ad offerte retributive che doppiassero quella del club di appartenenza, non ci penserebbe un attimo.

Questo è il mercato della compravendita dei calciatori signori miei. Con poche regole e per di più fatte male. Il fair play finanziario – di cui nessuno conosce bene la ragione e il funzionamento –  è una presa per i fondelli sesquipedale.  

Così è se vi pare, altrimenti cambiate sport.

Si chiama legge della domanda e dell’offerta, non ci vogliono le scuole alte per capirla. Chi ha budget illimitati, prende i giocatori migliori e affermati. Chi possiede molto denaro, ma deve comunque far quadrare i conti, sopperisce, quando può, con un’organizzazione societaria di altissimo livello e cerca di costruirsi i campioni in casa, scovandoli in erba e rivendendoli al miglior offerente al momento opportuno per realizzare le famigerate plusvalenze. Artifizi finanziari questi ultimi, spesso di oscura valutazione, che tuttavia consentono di tenere in vita l’impresa. Gli altri, infine, partecipano ad un businnes, e forse ad un gioco, diverso.

Ciò significa che chi ha più soldi vince sempre? No.

Per fortuna il calcio ha un’alea che è unica nel suo genere. Ci sono infiniti esempi, tra i quali i più fulgidi sono quelli del PSG e del Manchester City (guarda caso entrambi in mano a proprietari arabi), che ci dimostrano che spendere centinaia di milioni di euro durante la campagna acquisti, non assicura la vittoria certa.

Ciò significa che chi non ha abbastanza soldi non dovrebbe neanche partecipare? Si.

O meglio – ma qui si apre una problematica che richiederebbe un altro articolo, e non voglio annoiare oltremodo quei quattro sfigati che, come me, invece di starsene a mare, sfogliano i siti di calciomercato –  dovrebbero partecipare a campionati, leghe e competizioni di altro genere.

Ormai il divario è troppo ampio.  I campionati nazionali sono destinati a fallire, anche perché quello inglese ormai li ha quasi cannibalizzati tutti.

Quando le ultime squadre della Premier hanno una potenza di fuoco sul mercato simile a quella delle prime del campionato italiano (della prima e basta, direi) c’è qualcosa nel sistema che non torna, e che è ancor più destabilizzante della spesona fatta dagli sceicchi parigini.

L’unica prospettiva accettabile, se non si vogliono stravolgere le regole del libero mercato, è una superlega di squadre che hanno una capacità finanziaria di un certo livello.

In finale (maledetta Cardiff, ancora non mi spiego). Questa storia dei soldi che non fanno la felicità.

Che tedio!! La vita è una battaglia navale signor Neymar, oggi ci sei domani B5. Questa è l’unica certezza che abbiamo. Non si conosce né il dove e né, soprattutto, il quando. E nessuno stipendio mirabolante potrà mai assicurare a Lei e i suoi colleghi di acquistare l’unica cosa che conta….il tempo.