Premetto che non è ancora finita, se a qualcuno fosse sfuggito, siamo a più uno sulla seconda. Il nostro motto è fino alla fine, e vi assicuro che c’è un motivo.
La Juve è un’ideologia, non è solo una squadra di calcio. È un modo di essere, di fare calcio e non solo. Non ci siamo mai arresi, e non ci arrenderemo mai. Abbiamo attraversato le Forche Caudine di una vergognosa messa in scena chiamata Farsopoli. Siamo risorti dal nulla per tornare padroni assoluti del calcio italiano. 
Da anni portiamo sulle spalle, in splendida solitudine, la baracca di un sistema alla canna del gas. Siamo tornati tra le migliori squadre d’Europa, pur non potendo contare degli investimenti a fondo perduto di molti altri competitor internazionali.
Fino ad arrivare alla (mancata) gloriosa impresa del Bernabeu, stroncata da un arbitro inadatto - mandato da un designatore che sin dai tempi della grande farsa ci rema contro - oltre che dalla mala gestio del tecnico del doppio confronto.
Noi siamo la Juve, e i fuochi d’artificio dei tifosi del Napoli rischiano di diventare il più grande festeggiamento di una (non) vittoria nella storia del calcio. Purtroppo per loro questo è il più grande punto debole del calciominore napoletano.

Fatte queste premesse, non possiamo esimerci dal considerare anche l’ipotesi B, ossia che la stagione finisca con un clamoroso fallimento.
Rovina che porterebbe in calce la firma del nostro attuale tecnico e a margine quella di coloro che dopo Cardiff non hanno compreso che un ciclo volgeva al termine e che bisognava cambiare rotta, anche a costo di prendersi un anno sabbatico.
Allegri è un calcolatore indefesso. Uno speculatore convinto. Quasi mai gioca per vincere, se non costretto dalle circostanze. Lui gioca per fare risultato, il che significa cercare la vittoria o il pareggio non in senso assoluto, ma in ragione dell’obiettivo prefissato.

Mi spiego meglio.
Senza andare troppo lontano, il 4411 messo in campo a Torino contro il Real e ieri contro il Napoli, aveva lo scopo di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Il pareggio per il nostro, in entrambi i casi, sarebbe stato un risultato perfetto, che gli avrebbe consentito rispettivamente, in Champions di giocarsela in contropiede a Madrid, in campionato di continuare a speculare sui quattro punti di vantaggio.
In entrambe le partite, in altri termini, non ha mai messo la vittoria come opzione indispensabile e necessaria.
Infatti, all’indomani della partita di Madrid – dove al 60esimo del secondo tempo, sul tre a zero, poteva azzannare e far fuori un Real spaventato e in affanno – lui ha ammesso che puntava ai supplementari, motivo per il quale si è tenuto in panchina i due cambi. Ugualmente, ieri, ha affermato le stesse cose, ossia che puntava al pareggio.
Questo è Massimiliano Allegri. Prendere o lasciare. A molti piace; a me non è mai piaciuto.
In Italia è riuscito a passare per un ottimo allenatore per due ordini di motivi. Da un lato perché il suo modo di intendere e fare calcio è funzionale soprattutto alla gestione dei tornei a lunga scadenza, dall’altro, perché ha avuto in mano una rosa che, soprattutto quest’anno, è sempre stata nettamente superiore alle avversarie.
In Europa, invece, tranne in rarissimi casi, la sua idea di calcio si è rivelata perdente. Soprattutto in finale, quando l’unica cosa che conta è farne uno più dell’avversario.

Se per la Juventus vincere la Champions, rebus sic stantibus, avrebbe il sapore dell’impresa (basti pensare alle spese folli di Manchester City e PSG), perdere il campionato sarebbe un’onta indelebile. 
Durante tutto l’anno ci è stato detto che contava arrivare in forma in primavera. In questo modo si mettevano sotto il tappeto le oscene prestazioni inanellate durante tutta la stagione, e in tutte le competizioni. Poi, arriviamo ad aprile, e nelle partite più importanti, ad esclusione del ritorno a Madrid, gli altri corrono sempre più di noi.
Che ieri Dybala dovesse rimanere in panchina, lo avevamo capito tutti. Invece, ancora una volta, Allegri ha piegato l’impostazione tattica alle esigenze dell’argentino, lasciando il centrocampo in mano agli avversari. Errore commesso per altro anche all’andata dei quarti di Champions. Paulo ieri ha toccato tre palloni; con quelli che aveva visto a Crotone, fanno sei. Ma quello che più urta del personaggio Allegri è il fatto che non riconosca mai le proprie responsabilità. Con aria sorniona e scanzonata la prende sempre alla lontana, con concetti generali e indefiniti. Stillicidi inutili di perle di saggezza su di un gioco che, a suo dire, può andare bene o male indipendente da quello che tu fai in campo.  L’importante è giocare bene tecnicamente, i moduli e le tattiche contano relativamente.
Ieri, capendo cosa sta rischiando, è "sbottato" ricordando che i suoi ragazzi, da anni, giocano più partite degli altri ed è comprensibile che abbiano ceduto mentalmente e fisicamente. Peccato che la società gli abbia messo a disposizione due squadre proprio per questo motivo.

Questo è il nostro attuale tecnico.
Un uomo che proveniva da un fallimento clamoroso in rossonero, riuscendo a perdere un campionato con una squadra molto più forte della sua diretta concorrente. Da una parte c’era Ibra e dall’altra c’era Matri; giusto per ricordare di cosa sto parlando. Purtroppo per noi, non è nuovo a debacle bibliche.
Un tecnico che per lungo tempo è riuscito a vivacchiare sfruttando fino all’osso l’eredità del suo predecessore, navigando indisturbato per tre anni – grazie a un parco giocatori nettamente superiore a quello degli avversari – sulle rovine di quello che, in un’epoca ormai lontana, era il torneo più bello del mondo.
Cionondimeno, a conti fatti, come Allegri suole ricordarci, ciò che conta è la bacheca. Alla fine della giostra, bisognerà vedere se sarà in grado di raggiungere il quarto scudo consecutivo. Solo in questo caso, qualora il suo famigerato lato B riprendesse a splendere di luce propria, di lui si ricorderanno le imprese. Al contrario, se dovessimo finire la stagione senza trofei, Allegri sarà tra i principali responsabili di una delle peggiori disfatte di sempre.
Spero, in ogni caso e comunque vada, che a fine stagione il nostro venga gentilmente allontanato da Torino, proprio come fecero lo scorso anno, per causa sua, con Bonucci. Non possiamo permetterci di gettare un altro. Bisogna ripartire spediti verso un nuovo immenso ciclo di vittorie e soddisfazioni.
Perché noi abbiamo l'immensa fortuna di vincere e gioire per i nostri meriti; l’altra metà del calcio minore italiano, compreso quello cinese, da anni gioisce solo per le disgrazie altrui.

Fino alla fine.