E' ormai certificato: i nostri cari commentatori sportivi hanno sentenziato da tempo che il miglior colpo calcistico dell'anno appena concluso, non è il trasferimento di un calciatore, ma il ratto di Torino, ossia la mirabolante operazione che ha portato Giuseppe Marotta a ricoprire un ruolo apicale nella seconda squadra di Milano.

Il trasferimento del più forte giocatore del globo terraqueo dal Real Madrid alla Juventus, che ha di fatto riportato alla ribalta mondiale il nostro povero campionato, è passato in secondo piano da quando uno dei migliori dirigenti italiani ha deciso di cambiare casacca, e dopo aver contribuito grandemente a far risorgere l'araba bianconera dalla ceneri di Farsopoli si è posto un obiettivo ancor più gravoso, ridare lustro e credibilità ad un ambiente che al netto del periodo di desertificazione provocato dalla farsa di cui innanzi, ha fatto della sconfitta, della disorganizzazione e delle spese scriteriate il simbolo della sua storia.

I tempi e le modalità che hanno portato all'approdo in casa interista dell'ex sampdoriano (chi sceglie il cartone per le stelle, perde ogni vessillo e titolo nobiliare) sono stati alquanto controversi. Poco approfondite le reali motivazioni che stanno dietro la clamorosa scelta. Qualcosa si è scritto, ma i reali motivi rimangono ancora vaghi. 

In pieno stile Juve - che il nostro ha acquisito in anni di aria bianconera - i diretti protagonisti hanno proferito quasi nulla. Si è scribacchiato su presunti contrasti scaturiti dall'affair Ronaldo. C'è chi, in maniera apodittica, richiamando vecchie storie legate alla genesi farsopolara - peraltro veritiere - , ha sostenuto che Marotta stesse diventando troppo influente; e a Torino si sa che solo gli appartenenti al casato sono legibus solutus.

Io vedo il calcio in maniera meno dietrologica. Ahimé, da tempo, anche molto meno disincantata.
Come diceva un buon fraticello di mia conoscenza, nella vita in genere, e perciò ancor più nel calcio odierno, la tasca è l'ultima a convertirsi. Certamente ci saranno state posizioni di potere che, come di consueto nelle grandi imprese, sono andate in contrasto, ma di fondo la ragione ultima è sempre la famigerata tasca. 

Quello che invece mi stupisce, volendo fare un discorso di politica societaria, è come a questi livelli, una società quotata in borsa possa permettersi di far passare alla concorrenza una delle sue figure apicali chiave con tanta facilità, senza essersi premurata di inserire negli onerosi contratti sottoscritti clausole di non concorrenza o affini.
Ciò che Marotta porta fra le nebbie di Appiano Gentile, rese ancor più fitte dal fumo di sigaratta del prode Naiggolan, non è solo il now how di esperienza maturato grazie alla più grande società della storia patria ma anche conoscenze dirette su operazioni e strategie commerciali e finanziarie di ogni tipo, in primis quelle relative al mercato.
Questo passaggio mi sfugge, perché il conflitto di interessi da prevenire mi appare così chiaro. Probabilmente sono così ignorante nelle questioni legate all'alta finanzia che sciorino castronerie. Chiedo venia!
Eppure, mi sembra una questione eminentemente di buon senso. Mah!

Un secondo aspetto che volevo rimarcare, certamente più succulento agli occhi di un'amante incoffessato della Vecchia Signora come il sottoscritto, riguarda come la seconda squadra di Milano per tornare ad essere un'impresa calcistica degna di questo nome abbia attinto a piene mani dalla fonte più cristallina di tutte le vittorie italiche.

Una vera e propria nemesi storica.
Per poter sconfiggere l'odiato e infangato nemico, prendiamogli uno dei suo generali! Una strategia degna del più scaltro dei principi feudali. 

A onor del vero non è la prima volta che questa idea prende forma in quel di Milano, e per di più su entrambe le spoglie del Naviglio, se è vero, come lo è, che anche il Berlusca blandì l'orco di Torino, offrendogli lo scranno più alto della propria organizzazione, all'epoca gelosamente custodito nonché esclusivo appannaggio della storica fronte lucente rossonera. Tanto che quest'ultimo, a detta del Lucianone nazionale, per vendicarsi dell'affronto, accese una delle micce che scatenarono gli untori del 2006.

Come raccontano le cronache del tempo (a riguardo rimarrà negli annali un'intervista del 2017, rilasciata da Sandro Mazzola ad Aldo Cazzullo e pubblicata sul Corriere della Sera), infatti, l'uomo dallo smoking immacolato, al secolo Massimo Moratti (un miliardo e passa buttati alle ortiche per vincere solo in epoca post farsa) - indumento irrimediabilmente lordato dalla fanghiglia caduta a valanga dopo la relazione Palazzi - cercò in tutti i modi, senza riuscirci, di portare "Al Luciano" dalla sua parte. 

Insomma, quando si dice vendere l'anima al diavolo. 
Anche loro hanno capito in questi ultimi sette anni che l'unico modello vincente in Italia per fare impresa calcistica di qualità, evitando di essere continua fonte di sollazzo per l'intero sistema, è quello della Juve.
Per attuare questa presa di coscienza sono dovuti arrivare i copioni per antonomasia. E devo dire la verità, i primi segnali in questo senso sembrano incoraggianti. 
I casi Icardi e Naiggolan sono lì a dimostrare che la gestione Juve sta prendendo piede anche in territorio nemico. 
Mi piacerebbe sentire cosa ne pensa il più apprezzato pensatore nazionale, dopo Celentano, tale Antonio Cassano, di questa Inter dove si fila dritto e dove non si può più arrivare in ritardo agli allenamenti.

Concludendo, auguro un sincero in bocca al lupo ai nemici calcistici che indossano i colori che più avverso (che sia chiaro! Parlo esclusivamente sul piano "ridanciano" dello sfottò sportivo, anche se godo come un caimano in calore ogni volta che perdete...ovvero quasi sempre, la vita è un'altra cosa e chi vive di solo tifo calcistico è un decerebrato....e qualche volte anche un criminale ahinoi).

Anche se ritengo che siate la peggior espressione storica del nostro calcio, e il cartone cucito sul petto è lì ad imperitura memoria di tale assunto, devo ammettere che è giunto il tempo che un vero antagonista lasci gli alberghi del pianto e del lamento, scenda dai vulcani del gioco bene ma non vinco mai, per darci nuovamente degna tenzone. Altrimenti, anche per noi, che per motto e urlo di battaglia l'unica cosa che conta è vincere, il gioco rischia di farsi noioso. 

Pertanto, cosa di meglio che un po' (un bel po' direi) di Juve per tornare competitivi.