Essere bianconero è un grande onore. Tifare per una squadra di uomini veri, ancor prima che grandi calciatori, riempie di orgoglio.

La nottata di Madrid è stata epica. Solo un arbitro inesperto e inadatto, poteva rovinare un sogno che stava diventando realtà.

Ma il calcio è questo, monsieur De la Palisse. Non c'è niente da fare; il bello e, ahinoi, il brutto di questo meraviglioso sport sta anche nell'elemento stocastico, che domina da sempre il gioco e soprattutto la più importante competizione europea.

Senza la dea bendata, lo sforzo fisico e la superiorità tecnica non sono sufficienti. Così come non è sufficiente spendere vagonate di milioni di euro per creare una squadra competitiva e vincente. Lo sanno bene, da noi, i fan del calcio cinese, e ancor più, guardando fuori dai confini italici, gli arabi del Manchester City e del Psg.

Questi ultimi, in particolare, con l'acquisto di Neymar pensavano di scombinare il banco, ma invece si sono ritrovati con un pugno di mosche in mano e come unico obiettivo stagionale uno dei campionati peggiori d'Europa. 

Non sempre vince il più forte. E nel doppio confronto contro il Real, checché ne pensi la metà italiana antijuventina e depressa da anni interminabili di dominio bianconero – parte ben rappresentata dai tifosi e dai commentatori del calcio minore milanese – la Juventus ne esce perdente ma superiore.

Se all'andata fosse stato concesso il solare rigore su Cuadrado, dopo sessanta minuti di leggero predominio juventino, mentre al ritorno l'inglese “senza cuore” e capacità avesse lasciato che il suo dubbio rimanesse tale, ai punti, non si può che ammettere come nei centottanta minuti del quarto di finale di UCL la Juve abbia dimostrato di meritare più dei blancos di passare il turno.

Ma queste considerazioni contano poco. Alla fine, come giustamente ripete sempre il nostro mister, conta la bacheca, conta il risultato. E per l’ennesima volta, l’obiettivo più ambito – almeno da noi tifosi maturi, non certo dall’attuale società –  è drammaticamente sfumato.

Inoltre, preme sottolineare che il modo in cui Allegri ha cercato di portare a casa questo risultato, a mio parere, è stato ancora una volta viziato da alcuni errori di carattere diciamo ideologico, nel senso che fanno parte del suo dna, in altri termini del suo modo di vedere e vivere il calcio.

All’andata ha schierato una squadra per non prenderle. Ha infoltito oltremodo le fascie, pensando di limitare gli attaccanti e i terzini avversari (tra i migliori in assoluti), ma ha lasciato, ancora una volta (vedi Cardif) troppa libertà d’azione al centrocampo più forte del mondo.

La solita, debole mediana a due – che nella parte iniziale della stagione aveva reso la nostra difesa tra le più perforate del campionato – accompagnata da due ali, di cui l’una priva della capacità di difendere e l’altra chiaramente nella sua peggiore stagione.

A ben vedere i tre goal sono nati da errori difensivi individuali, ma come è aduso dire il nostro, se non ci si difende in undici si prende goal con facilità.

È chiaro che non si può imputare a Higuain un errore difensivo, ma il mancato schermo a centrocampo, figlio di un’impostazione tattica perdente, è sicuramente un motivo più che plausibile della fragilità difensiva.

Il motivo delle scelte tattiche dell’andata, come del resto quelle di questo finale di stagione, è chiaro: Dybala non consente un 433 classico.

Ma santa miseria…proprio contro la squadra più blasonata d’Europa bisognava immolare gli equilibri generali sull’altare di un talento che deve ancora dimostrare di essere tale anche a livello internazionale? E poi chi lo ha detto che Dybala non possa giocare largo a destra o ancora meglio a sinistra??

Nel match di ritorno, il nostro tecnico, rammentando che Matuidì è diventato indispensabile per fornire i giusti contrappesi alla squadra, è tornato a tre, polverizzando in sessanta minuti un Real allo sbando.

Ma nonostante ciò, con un clamoroso tre a zero dopo neanche un’ora di gioco e due cambi a disposizione il nostro ragioniere livornese, calcolatore indefesso, invece di provare a addentare definitivamente la presa, facendo entrare, ad esempio, per tempo Cuadrado, ha pensato bene di rintanarsi dietro, rifiatare e attendere i supplementari.

Sarebbe stato sufficiente un altro maledetto goal. Quella sporca ultima meta... un goal; loro ne avrebbero dovuti segnare due.

Ai supplementari, la squadra sarebbe andata in debito di ossigeno, perché aveva sprecato molto più dell’avversario. Ai rigori, poi, neanche a dirlo chi avrebbe prevalso.

Bisognava provare a chiuderla nei novanta. Bisognava avere il coraggio di fare quel maledetto quarto goal, anche rischiando di prenderne un altro.

Ed invece….

D’accordo, la delusione è tanta.

Bisogna soltanto ringraziare questo magico gruppo di giocatori che ci stava regalando un sogno.

Bisogna comprendere Gigi. Da tifoso, sono con lui. Da uomo adulto e professionista, magari avrei cercato di evitare certi accenti folkloristici.

Tant’è, questa squadra va semplicemente applaudita.

Ma il sorriso sardonico del nostro allenatore a fine gara, davanti alle tv che lo intervistavano, con il quale il furbastro, ammiccante ci ha detto: avete visto quanto sono bravo? Sono l’unico al mondo capace di venire a dettare calcio a Madrid. Altro che le fandonie del buon Arrighe. E se non fosse stato per un arbitro di Collina, ora sarei il più grande allenatore europeo!

No, quel sorriso non mi è piaciuto. Proprio come non è mai piaciuto ai cinesi sponda rossonera il sorrisetto di Montella.

A quel inutile sorriso senza storia bianconera nel sangue, che come a Cardiff non ammette mai le proprie responsabilità, e che vive di solipsistica autoreferenzialità, io preferisco la faccia rossa, imbolsita, tirata, arrabbiata, violentata di Gattuso dopo la sconfitta, seppur meritata, allo Stadium.

Quella stessa faccia che aveva il nostro grande Antonio, ogni volta che pareggiava o perdeva anche la più stupida delle partite.