Circa un annetto fa, quando è stato ingaggiato a parametro zero dal Barcellona, l'arrivo di Dani Alves alla Juve è stato certamente reputato come un  gran colpo di mercato; il suo approdo nella città della Mole avrebbe conferito quell'esperienza a livello internazionale e quella mentalità vincente che avrebbe dovuto portare la Vecchia Signora in cima all'Europa. E c'è quasi riuscito sinceramente, disputando partite degne di nota nelle fasi finali della Champions.

Ma l'avventura in bianconero di Dani Alves non è affatto un bel ricordo nelle menti dei tifosi: prestazioni opache in campo e show spettacolari sui social, anarchia tattica e candidatura ad X-Factor (...l'avesse sentito Mara Maionchi!). Per farla breve, Dani non ha garantito l'apporto che ci si aspettava da lui, nè in campo nè fuori e, arrivati al termine della stagione, non ci ha messo molto per cambiare aria. Per fortuna.

L'incoerenza tra gesta atletiche e performance demenziali, da egli stesso sparate orgogliosamente in rete, hanno trovato il loro culmine al momento dell'addio; "Alla Juve non ero felice" - ha dichiarato il brasiliano - "Sono uno che ama rischiare la giocata e alla Juve questo non l'hanno capito". Probabilmente Alves non aveva chiara l'idea di squadra, o ce l'aveva ma preferiva alimentare il suo ego con giocate che non gli competevano (ma che gli venivano permesse per mancanza di polso) e con movimenti inconsueti che, sistematicamente, lasciavano scoperto il fianco agli attacchi avversari. Ecco, forse questo era il rischio di cui parlava.

Poi, pian piano, le vere motivazioni cominciarono a venir fuori: "Nello spogliatoio non si poteva mettere la musica" - disse il terzino, scambiando lo Stadium per la più grande discoteca mai vista al mondo - "Io non posso vivere senza musica, senza ballare"Ragioni assurde le sue che, tuttavia, gli calzavano a pennello, vista la sua esuberanza spesso spropositata e fuori dagli schemi. 

Baci e abbracci, valigie pronte ed, in men che non si dica, dopo qualche chiacchierata col padrino Guardiola, via alla volta della Tour Eiffel. Ciò che interessava a Dani non erano i soldi dello sceicco, non era la bella vita a Parigi, non era la libertà di cui poteva godere, non era il posto indiscusso da titolare, bensì "il progetto".

Sì, il progetto di percepire 14 milioni di euro a stagione, di gestire lo spogliatoio a suo piacimento, di riformare il suo amato clan convincendo Neymar a raggiungerlo e di essere il dominatore della scena mediatica, permettendosi addirittura il lusso di decidere arbitrariamente a chi affidare i calci piazzati. Questo era il progetto che stava tanto a cuore al brasiliano. La scelta di andare a Parigi, inoltre, ha permesso alla sua compagna, nota modella, di calcare le passerelle più prestigiose, nei momenti di pausa dalle estenuanti condivisioni social dell'imbarazzante brasiliano.

Ognuno decide della propria vita, della propria carriera e delle proprie azioni, ma perchè rendersi così ridicoli esternando mezze verità, anzichè affermare (come altri hanno onestamente fatto) che il trasferimento in Francia è stato dettato solo dalla voglia di essere indisturbatamente "prima donna" prosciugando, tra l'altro, il portafogli capiente dello sceicco?  Ma d'altronde i brasiliani hanno sempre avuto un debole per il Carnevale; forse è per questo che Dani Alves, agli occhi degli juventini, è ormai l'incarnazione di Pulcinella.