Le persone, specialmente quelle di nazionalità italiana, soffrono spesso di memoria corta e risultano per larghissimi tratti influenzabili dalle "battaglie" condotte dai media, orientati a trascinare le idee popolari, in particolare le meno lucide, a proprio favore.

Ciò che davvero mi infastidisce è l'incoerenza di un Paese che non è in grado di riconoscere il limite del pudore e non riesce ad accettare le scelte democratiche, ma, allo stesso tempo, si lamenta e fanaticamente condanna chiunque, al grido di fascista, non sia in linea coi soggettivi, talvolta irragionevoli, pensieri propinati poi alla massa sottoforma di verità assoluta.

Il dramma consumatosi nella serata di lunedì era predisposto a lasciare strascichi polemici, ma puntare il dito contro di una persona per la sola antipatia che essa possa suscitare, mi pare alquanto ridicolo e immorale. Il Presidente FIGC Tavecchio, per quanto non risulti l'uomo più simpatico al mondo, non è da catalogare come il male assoluto, di cui l'Italia deve al più presto possibile disfarsi.

Innanzitutto ci tengo a precisare, dato che molti l'avranno dimenticato o lo omettono per deformazione professionale, che Tavecchio è a capo della FIGC dopo esser passato da democratiche elezioni, che hanno invece visto sconfitto il filone degli amici di Damiano Tommasi; sì, proprio lui, quello che ieri, come un bimbo col broncio, dopo aver sentito il no secco alla proposta di dimissioni, ha sbattuto la porta e si è lanciato ai microfoni esponendo il suo dissenso e le sue ragioni, a mò di profeta che, mediante la propria filosofia, a tutti i costi ha il compito di insegnarci come si vive.

Tavecchio fa rima con vecchio, ma, nonostante ciò che si dica in giro, è lui il fautore di innovazioni che negli anni passati neanche ci sognavamo di avere. I ragazzotti di bella presenza, quelli brizzolati e pettinati non avevano neanche preso in considerazione la Goal Line Technology, non avevano mai voluto sentir parlare di VAR, nè erano stati in grado di portare in Nazionale uno dei tecnici più quotati del momento, quale Antonio Conte. 

Ci avevano riempito gli occhi di fumo con l'arbitro di linea (ridicolo), ci avevano lasciato in mano a Prandelli (che più che al destino della Nazionale pensava a come regalare un pass sicuro per il Paradiso a Balotelli) e nascondevano il loro scarso apporto ai fini dello sviluppo di un movimento dietro a giacche d'alta moda e a paroloni scovati la notte prima nella Treccani.

Ma alla gens italica è sempre più importato l'apparire anziché l'essere, per cui applausi di fronte a dei discorsi ben congegnati che non trovavano in alcun modo riscontro e fischi e insulti verso colui che, goffamente e forse anche ingenuamente, ci narrava le gesta dell'ormai celebre Optì Pobbà, contrapponendo però alle esilaranti frasi pronunciate, dei progetti ben delineati e che sovente venivano portati a termine.

Dinanzi ai pregiudizi cade persino l'intento che a breve condurrà sulla panchina dell'Italia niente meno che Carletto Ancelotti, altro tecnico di successo, che mai prima d'ora si era pensato di accostare alla Nazionale. "Vuol risultare simpatico ingaggiando Ancelotti" è quello che ho letto in giro; ma, in fondo, a noi che interessa ciò? L'essere apprezzato può rappresentare un qualcosa in più, ma è poco se messo a paragone con la reale funzionalità delle idee che si perseguono.

L'errore di affidare gli azzurri a Ventura è stato clamoroso ed è riconosciuto da tutti, Tavecchio stesso in primis che, come molti altri, non è stato all'altezza di valutare quell'incomprensibile cambio di atteggiamento del tecnico, passato dall'esser convinto dei propri mezzi all'esser arrogante a dismisura e, addirittura, a non ammettere i propri, evidentissimi, errori. Persino lo stesso Cairo, che ha avuto Ventura al Torino per diversi anni, ha dichiarato di non riconoscere in quei comportamenti border line la persona che aveva avuto accanto in passato. Il potere logora, niente di più vero.

Il passato, per quanto doloroso, resterà tale e nulla, se non scongiurati e sanguinosi conflitti, riuscirà a condurre la nostra amata Italia in Russia. Ce ne faremo una ragione. Quello che conta adesso è alzarsi e ripartire, imbastendo nuove regole per favorire lo sviluppo dei settori giovanili, per privilegiare la crescita dei ragazzi italiani e per far acquisire loro la possibilità di mettersi in luce sin da subito, senza dover aspettare anni in Purgatorio la redenzione.

Ciò che risulta fondamentale è smetterla di inveire contro Tavecchio, il quale avrà mille difetti, ma di certo non gli si può negare l'impegno profuso in questi anni. Ci rimetteremo in carreggiata anche grazie a lui, in barba a tutti quei benpensati che, dal retro delle proprie scrivanie, sfoderano oracoli taglienti come sciabole pur di non ammettere che, in fondo, è l'invidia a muovere loro le labbra. La democrazia è questa e non ci si può definir democratici solo nel momento in cui le idee degli altri collimano perfettamente con le proprie.