‘Nazario de Lima Ronaldo Luis’. Furono le prime parole che un bambino di sei anni riuscì ad imparare a memoria. Crebbi in uno sperduto paesino dell’entroterra siciliano dove a farmi e a farci compagnia c’è sempre stato il calcio. Lo si giocava e lo si gioca ancora per le strade, tra le poche auto parcheggiate per strada e le tante preoccupazioni di mamme e nonne. E’ tra quelle strade che, con la palla tra i piedi, gridavo il suo nome e lo gridavo per intero sotto il caldo sole dell’estate siciliana . Nel ’99, all’età di sei anni iniziai la mia carriera scolastica, erano gli anni delle grandi vittorie juventine e di conseguenza mi ritrovai in una classe piena zeppa di bambini bianconeri. Solo un’altro bambino oltre me tifava inter. Il nome completo di Ronaldo lo conosceva anche lui. Mentre gli altri tifavano per i vincitori, noi due non sapevamo ancora cosa significasse vincere ma sapevamo solo sperare e sognare. Quei sogni avevano un nome, non era facile da ricordare ma ci riuscivamo. Nell’estate del 2002 il fenomeno mise in valigia tutte quelle speranze e scappò via in direzione Madrid. Ci sentimmo traditi. Ma a prendere il posto nel nostro cuore, a colmare un vuoto che sembrava incolmabile ci pensò un altro fenomeno, un fenomeno diverso, fino ad allora forse oscurato dal talento dell’altro. Era ‘el Chino’ Recoba. L’uomo dai gol impossibili. Da centrocampo o direttamente da calcio d’angolo. Parabole impossibili, traiettorie pazze come la nostra inter. Era forse per questo il giocatore preferito del presidente Massimo Moratti. Non bastò l’estro di Recoba, e non bastarono gli altri grandi nomi che i suoi soldi ma soprattutto il suo amore portarono ad appiano ad interrompere il domino Juventino ma nel frattempo era riuscito a tramutare la speranza in attesa. Avevamo capito tutti che Massimo Moratti ci avrebbe portato sul tetto del mondo. Era solo questione di tempo. L’estate del 2006 fu l’estate di calciopoli e dei mondiali vinti dall’Italia. Il calcio in Italia cambiò per sempre e anche il tifo non fu mai più lo stesso. L’Inter aprì un ciclo di vittorie incredibili con l’assegnazione a tavolino del contestato scudetto del 2005-2006. Ci sembrò giusto, in quel momento ci sentivamo tutti derubati. Ancora oggi non so se lo sia stato veramente. Dopo 2 scudetti vinti sul campo con Mancini, nel 2008 arrivò Mourinho. L’Inter puntava la Champions. Con l’immancabile regia del presidente in due anni nacque la squadra più affamata di sempre. Aveva la fame del nostro presidente, aveva la fame di tutti quei tifosi che avevano digiunato per 18 anni, che erano tornati a vincere ma che adesso volevo farlo per davvero. Nel 2010 l’Inter vinse tutto. Di quella Inter più di tutto mi rimane l’immagine della frattura al cranio di Chivu, dei denti di Maicon persi sull’erba di San Siro in quell'incredibile 3 a 1 al Barca, delle partite giocate e vinte in 9. Era una squadra di guerrieri, non si sarebbero fermati davanti a niente e nessuno. Anzi, di fronte ad un uomo ci si fermava sempre, ci si fermava e lo si abbracciava. Sulla sua spalla si piangevano lacrime di gioia. Su quella spalla abbiamo pianto tutti. Tutto questo è stato Massimo Moratti, l'incarnazione delle speranze di milioni di tifosi. Nel giugno del 2016, con l’ultimo, estremo atto di amore l’eterno presidente esce definitivamente di scena. L’Inter non sarà mai più la stessa. A colui che per anni ha portato il nome dei nostri sogni, grazie.