Non sono un ammiratore di Sarri, non lo ero quando il tecnico proponeva un calcio nuovo al Napoli, perché divertiva ma non vinceva, e non lo sono stato in questi mesi sulla panchina della Juve. Dico questo perché dal Trap a Lippi, passando per Capello e Allegri, di campioni ne sono passati tanti da riempire le pagine di storia, ma la filosofia resta sempre quella di Boniperti. Vincere è l’unica cosa che conta, e non serve per forza far brillare gli occhi, ma festeggiare i successi e mettere nuovi trofei allo J Museum.
Per questo Sarri non ha convinto, e poco importa adesso se la colpa è solo sua o di chi lo ha scelto senza dargli gli alfieri giusti, perché è vero che negli annali bianconeri si ricordano giocatori e tecnici vincenti, ma è pur vero che hanno fatto più clamore quelli che hanno fallito, e sono rimasti marchiati per sempre.
In Sarri ho comunque riposto la mia fiducia, perché chi fa sport o lo insegna, sa bene che nessuno parte sconfitto, che serve tempo, ma che prima o poi il calcio quelle lancette le ferma, e spesso accade nel momento in cui una squadra non risponde agli ordini del suo tecnico, proprio come accade adesso. Agnelli lo sa bene, perché il suo cognome è il dna bianconero, e perché in una famiglia che ha fatto la storia, ci sono delle regole di gestione che non cambiano mai. Il presidente era infatti pronto a confermare Allegri, pragmatico ma vincente, e lo fece anche dopo la sconfitta con l’Ajax. La famiglia Agnelli ha voluto i calciatori migliori, ma ha pensato sempre al lustro, al luccichio dei trofei, a circondarsi di protagonisti pratici e vincenti. Ecco perché per il dopo Sarri si ripensa ad Allegri. Massimiliano ha le spalle larghe, così come piace a chi ad ogni giro di orologio pensa ai successi, ma vive di pressioni e ansie per raccoglierli.
I dubbi sono però due. Il primo è l’eventuale risposta dell’ex tecnico, accantonato più per far contenti i tifosi che per effettive necessità. Il secondo è che le minestre riscaldate non hanno mai un sapore gustoso. E allora serve una soluzione da Juve. In passato si fecero i nomi di Pochettino, ma non ha mai convinto, o dell’inarrivabile Guardiola. Io invece ho un’altra sensazione.
E se ad Agnelli pensasse ad Andrea Pirlo? Il maestro ha la Juve nel dna, è uomo di poche parole ma sempre giuste e sopratutto avrebbe la fiducia di molti giocatori, ex compagni di squadra e in nazionale o rivali che gli hanno sempre riconosciuto classe e signorilità. A queste indicazioni sarebbero da sommare altri indizi. La Juventus gli propose di affiancare Sarri in prima battuta, poi i rumors furono diretti ad una nomina come tecnico dell’Under 23, quasi a spianargli la strada per eventuali successioni. Entrambe le avance furono rispedite al mittente, forse per attendere una completa formazione da allenatore e partire con un club già di grande livello. Anche un terzo piccolo indizio stuzzica. Barzagli, leader dello zoccolo duro che ha vinto tanto in bianconero, si è allontanato dal club e dal ruolo di collaboratore di Sarri, lasciando aperte le porte in futuro. Che non stia attendendo anche lui un nuovo progetto? La mia è una provocazione, che però nei fatti trova qualche riscontro.

Pirlo è in silenzio da mesi, ha studiato alle scuole di Lippi, Conte, Allegri, Mazzone, Ancelotti, ha vinto tutto, ha gestito pressioni incredibili e stuzzica per un altro motivo ancora. A Madrid hanno lanciato Zidane e vinto tutto, al Barca con Guardiola hanno fatto bingo. Perché non provarci a Torino per ridare ai bianconeri un tocco di juventinitá e un progetto nuovo e vincente? Il maestro è pronto e sa come si fa.