Rotta, ferma, tremendamente vecchia. Giudicare la Juve significa partire da un presupposto. Ha in rosa il migliore in circolazione, hai preso il giovane più promettente del mondo, per cui punti al massimo. E devi dare il massimo. Analizzare il percorso dei bianconeri non vuol dire cercare il bicchiere mezzo pieno o vuoto, ma parlare di numeri, giocatori, dirigenti e tecnico. I migliori sono stati Dybala e De Ligt, il primo sacrificabile a inizio anno ma capace di fare la differenza, il secondo preso per farla con profitto. Poi c’è Ronaldo, che fa il fenomeno anche a 35 anni. Solo con questi tre ci sarebbe da candidarsi almeno ai quarti di finale di Champions, e invece Sarri saluta la competizione che negli ultimi anni aveva visto la Juve sempre avanzare oltre gli ottavi.

Troppi gol subiti, troppo imbarazzante la differenza contro il centrocampo del Lione, giovane e frizzante. Una inferiorità fisica e di idee che si è manifestata contro tante altre squadre, per cui è lecito pensare che ci sia un errore di idee e concetto, e non solo di un reparto che non incide e ha poca qualità. La Juve la cercava in Sarri, ma non la ha trovata. Il tecnico non è riuscito in un anno intero a rimodulare un reparto che ha condizionato tutta la squadra. Ha protetto male una difesa che ha subìto tantissimo nonostante attori da Oscar, ha ispirato male un attacco che ha vissuto di individualità, ha costretto Dybala a fare gli straordinari da collante fra i reparti per rendere la squadra più pericolosa. Questione di giocatori o di idee? Entrambe, perché Sarri non ha mai avuto le pedine che predilige, ma ha sbagliato e persevera ancora.

Bernardeschi e Higuain sono con la testa altrove, Pjanic anche con le valigie, in versione lato B del disco ascoltato con piacere tante volte e ora consumato. E poi Cuadrado, spremuto fuori ruolo e messo fuori ieri anzitempo. E gli altri? Ramsey mai del tutto in palla, Rabiot sull’altalena, Bentancur provato da play con grandi risultati ma ostinatamente messo a rincorrere chiunque per far spazio al bosniaco già blaugrana. E poi Khedira ormai da rottamare e Matuidi a fine corsa. Anomalie non dettate solo dal periodo, ma dalla gestione, perché la Juve all’andata perse giocando una partita simile, e al ritorno ha vinto solo perché Ronaldo sente Champions e crea scompiglio.

E il resto della stagione? Nono scudetto, chapeau, certo, ma lo hanno perso anche le altre contro una Juve più abituata ma poco convincente, mentre nelle Coppe nazionali Napoli e Lazio hanno sfruttato le lacune dei bianconeri scippando i trofei e mettendo da subito in discussione il lavoro di Sarri. E adesso l’ultima cannonata che non spara a salve ma arriva dritta e potente. Alla Juve i confini stanno stretti, e Sarri non ha convinto. Due finali su due perse, una gara contro una squadra ferma da mesi vinta senza passare il turno, uno scudetto che va tenuto in considerazione ma non soddisfa la squadra e la pancia di Agnelli e dei tifosi. Serve un cambio, nelle idee, e serve uno da Juve. A Vinovo ci hanno provato ma i risultati contano più del bel gioco, e la storia che insegna che le vittorie sono più importanti della filosofia del calcio ragionato e spettacolare, perché troppo spesso questo non porta trofei.

Agnelli lei ci ha provato, e ha fatto bene, ma si renda conto che imporsi con il bel gioco significa cancellare una squadra intera per metterne in piedi un’altra, e sopratutto trovare un tecnico in grado di farla girare da subito. L’investitura di Pirlo ha un senso, ma non si può attendere un altro anno, probabilmente l’ultimo di Cr7. Cambiare ora per accelerare il cambio di filosofia, pensando però alla storia, che vuole la Juve magari anche impopolare, pratica e poco appariscente, ma fra le prime di Europa.