Amo il calcio raccontato, quello che va oltre il pallone che rotola e le polemiche. Lo sport che va letto tra le righe, le storie dei campioni che furono, le dichiarazioni che vanno interpretate oltre le parole, che spesso nascondono un mondo. In tanti come me non si soffermano sulla moviola, sull’assurdo regolamento che consegna rigori a cascata, sulla singola giocata. Siamo molti per fortuna a vivere lo sport nella sua completezza, anche mediatica.
Il lockdown ci ha dato in pasto tanti protagonisti da analizzare, e finalmente abbiamo conosciuto figure che si nascondevano e invece si sono caratterizzate come i migliori registi fanno pian piano nelle serie tv più seguite. Alcuni non si nascondono, altri si raccontano in storie calcistiche che sono difficili da interpretare. È il caso di Conte e Marotta, che rivivono una seconda storia insieme dopo aver vinto tanto alla Juve. Hanno lavorato fianco a fianco e creato un ciclo così importante e solido che ancora oggi dopo altri due allenatori non si spegne. Erano i tempi della rinascita bianconera, in un club capace di passare da Padoin a Pirlo e Pogba, da Matri a Tevez, dal settimo al primo posto. Un capolavoro, smontato il 15 luglio del 2014 per le divergenze in un mercato che fu causa del divorzio. Gli articoli giornalistici di 6 anni fanno i nomi dei calciatori che determinarono la rottura, e tutto diventa ancora più surreale. Conte voleva trattenere Vidal, cercava Sanchez, avuto all’Inter senza grossi successi, voleva Cuadrado, che poi approdò in bianconero.
A volte ritornano, verrebbe da dire, perché a distanza di anni i nomi sono sempre uguali e gli scenari pure. Conte attacca e Marotta lo difende, non si capisce neanche il motivo. Il tecnico ha richiesto giocatori e qualità ad agosto ed è stato accontentato. Poi ha fortemente voluto esperienza a gennaio, e anche il quel caso ha incassato le pedine richieste. Unico neo il mancato arrivo di Vidal, compensato con l’innesto di Eriksen, che non avrà le caratteristiche del cileno ma giocherebbe titolare ovunque. Il 29 ottobre il tecnico fa notare che all’Inter giocano sempre gli stessi, e una settimana dopo dopo il tonfo a Dortmund attribuisce la sconfitta alla stanchezza e alla rosa corta invitando tutto l’ambiente a fare un esame di coscienza. Altro affondo dopo il mercato invernale seguito silenzi assordanti di Marotta che sette giorni fa, dopo un altro affondo del tecnico, ha difeso il suo operato. Tutto risolto, in apparenza, perché intanto sono ore calde. Zhang tentenna, il club è spaccato fra chi vuole dare fiducia all’allenatore e chi è stufo di spese, attacchi ingiustificati e un salto di qualità che non è arrivato. Marotta e Conte si sono ritrovati all’Inter, ma a conti fatti nulla è diverso. Il tecnico ha cambiato panchine e obiettivi, ma il suo atteggiamento è sempre uguale. Ci si chiede perché perseverare, e intanto se lo chiede anche l’Inter, che in fin dei conti fa quello che spetta ad una società seria. Ha risanato, ricostruito, rigenerato i rapporti con una tifoseria innamorata.
I risultati però sono meno dei proclami, e il rapporto fra Conte e Marotta, fortissimo ma troppo spesso messo in discussione, sembra al capolinea. Ci attende un’estate rovente sul fronte nerazzurro.