Caldo, 40 gradi, mare e montagne lontane solo 20 minuti nella mia stupenda Calabria ma inchiodato sul posto di lavoro. Non mi resta che leggere, e scrivere, e menomale che ancora tanti ragazzi come me conservano passioni che ti riempiono anche le giornate in cui anche i più convinti sostenitori del lockdown e della sindrome da capanna sono ritratti in foto sui social in posa vacanziera. Scorrendo nei vari siti che si occupano di sport mi è saltata all'occhio la consueta sfilza di dichiarazioni di Domenech, che quando l'Italia perde esce come sempre arruffato dal letargo e dice la prima cosa che gli passa per la testa. Ho pensato che è il solito, forse un precursore dell’epoca degli haters, perché lui lo fa quasi da 20 anni, e spesso senza troppo valutare i fatti e la realtà. Al netto delle tante dichiarazioni fuori luogo, compresa l'ultima, mi sono fermato a riflettere su quello che è il calcio in Italia e su quanto alcuni articoli apparsi sulla stampa estera siano ponderati o messi lì a casaccio.

Si è detto che non siamo più maestri di tattica, che tanti campioni vengono a preparare la pensione nelle nostre meravigliose città, che parliamo molto e pensiamo poco al campo. Io parto da un presupposto. Il calcio non è quello della domenica al campetto, è fatto di tanto altro, e io resto uno di quegli appassionati che vede anche la partita della lotta per non retrocedere, perché in Italia anche uno 0-0 racconta calcio, idee, studio. Le parole di Domenech, non uno sprovveduto ma neanche uno col palmares ricchissimo, esprimono però antipatia cronica verso l’'talia del calcio. Perché? Una risposta me la sono data. Ma non saremo forse dei piagnoni veri, anzi incalliti, che accolgono chi fa le bizze e li coccolano quasi come fossero indispensabili per l'umanità intera? 

Pensiamo all'ultimo anno. Higuain e Ibra per aprire il capitolo uno. Il primo devastante quando la squadra è lanciata in alto, triste e abbandonato nei momenti in cui bisogna dare il massimo. Nel lockdown non voleva tornare a Torino, adesso vuole rimanere. Bah. Certo, verrebbe da pensare, per uno con quel contratto che gioca poco e anche male. Ibra invece è realmente convinto di essere una entità suprema. Fortissimo in passato, decisivo, ehm ancora in passato, utilissimo ora per ridare fiducia al Milan, ma non così tanto da tenere in scacco il mercato di un club blasonato come i rossoneri. O ciò che chiedo o addio. No, Zlatan, finché ti arrabbi perché ti levano da campo ci fa anche piacere, ma i capricci proprio no da uno che fa un vanto del suo conto in banca. Simile il discorso per Rabiot, che nei primi sei mesi sembrava più vicino come comportamenti al connazionale Domenech che ad un calciatore strapagato. Ma come mai questi calciatori ci piacciono comunque e così tanto?

Beh, meglio forse passare ai tecnici. Se ci penso bene però è ancora peggio. Sarri al Napoli era davanti ai microfoni più per parlare degli altri che della sua squadra, alla Juve ha provato a limitarsi ma con scarsi risultati. Conte bocciò durante il lockdown la proposta di terminare il campionato in un lungo ritiro, come se fosse troppo dura per uno che di mestiere fa l’allenatore strapagato, mentre Inzaghi e Gasperini hanno alzato più volte la voce contro gli arbitri e almeno nel caso del mister della Lazio sembrava inadeguato viste le tante sviste da Var e i rigori guadagnati. Sui presidenti non mi soffermo, perché almeno nel caso di Lotito e De Laurentiis ci sarebbero da scrivere enciclopedie e io non sono il più adeguato. Pensate che alla fine anche gli arbitri hanno iniziato a piangersi un po’ addosso, indecisi sulla ripresa. È stato un anno di lacrime, proprio quando serviva il coraggio di ridare fiducia alla gente, sempre all'insegna della sicurezza. E noi che siamo qui bloccati a Ferragosto? Ci accontentiamo di leggere e di scrivere, anzi non ci accontentiamo, perché chi fa le cose con passione sorride e trova sempre il modo di non piangere.