La riflessione sul fatto che Pioli potrebbe uscirne ridimensionato nella figura e nel ruolo, di questo passo rischia di diventare l'ultima delle questioni. Perché ora come ora in casa rossonera c'è uno stringente problema di attualità pratica, più che di immagine.
E questo problema porta dritto dritto a Ibra, che l'universo rossonero attende di sentir suonare al campanello di via Aldo Rossi: "Sono il signor Ibrahimovic, risolvo problemi".

DOMANDONA
Per altro una necessità che sentono tutti, compreso Zlatan, che altrimenti non si sarebbe presentato a Milanello - con tutti gli onori mediatici del caso, abilmente previsti - dopo gli orrori del derby e alla vigilia del primo impegno di Champions contro il Newcastle.
La percezione su un suo possibile ritorno nel club rossonero - sarebbe la terza volta - ha preso realmente corpo quel giorno (era il 18 settembre), dopo che la domanda da cento milioni aveva vagato nell'aria già lungo l'estate, ma senza carburare troppo. Percezione che nel giro di poche ore si era trasformata nella certezza di una base concreta su cui lavorare, quando lo svedese aveva incontrato per la prima volta Cardinale in un hotel milanese. Impossibile derubricare il faccia a faccia a semplice saluto di cortesia. Quelli si fanno allo stadio, non chiusi in una saletta riservata, al riparo dalle telecamere.

MARGINI DI MANOVRA
All'incontro con il numero uno di RedBird ne era poi seguito un altro (come minimo) con l'a.d. Furlani, e a quel punto è stato evidente a tutti l'ordine del giorno di questi appuntamenti: valutare insieme - club e Z - i margini di manovra per un incarico societario.
Scenario affascinante per tutte le parti in causa - il Milan è molto riconoscente a Ibra per l'aiuto degli ultimi anni, Ibra è molto riconoscente al Milan per avergli regalato una seconda e proficua giovinezza calcistica -, rimasto lì, a galleggiare fra una partita e l'altra dove la squadra, dopo i ceffoni nel derby, si era rimessa in piedi molto bene.
Ora che la situazione si è però fatta nuovamente molto complessa - non tanto per le situazioni spicciole di classifica, quanto per l'aria che si respira intorno alle prospettive su squadra e allenatore -, quel dialogo avviato formalmente più di un mese fa si sta trasformando in impellenza.

CERTIFICAZIONE
Anche perché la domanda, banale ma efficace, è semplicemente questa? Ibra, se non ora quando? Nelle ultime settimane il Milan ha modificato gradualmente la sua "comunicazione" in merito a Zlatan. In pratica si è passati da quel "saluto di cortesia" - evidentemente non credibile - del 19 settembre con Cardinale, a un'ammissione sempre più netta sul possibile ritorno in rossonero. Fino a quando tutto è stato certificato pubblicamente in modo netto direttamente da Cardinale, pochi giorni fa: "Zlatan potrebbe essere estremamente efficace, sia come consigliere per me, sia come spirito di leadership per tutta la squadra. Dipende da lui.
Ma stiamo discutendo e mi piace molto, penso che ci siano molti vantaggi per noi". Più chiaro di così. La palla dunque, come gli è sempre piaciuto in campo, è fra i piedi di Z. Che riflette, riflette e riflette in un percorso di riflessioni simile a quello di Maldini. Governato essenzialmente da una linea guida: se posso aiutare il club che mi ha dato tanto lo faccio volentieri, ma se lo faccio devo essere messo in grado di dare una mano sul serio. Coinvolgimento robusto, operatività, possibilità di incidere.

CONOSCENZA
A questo riguardo, infatti, Ibra è stato chiarissimo recentemente: "Sto prendendo tempo per capire cosa fare. Se entro in qualcosa voglio fare la differenza, ma essere me stesso. Vediamo cosa succede, qualcosa facciamo. Col Milan stiamo parlando, vediamo dove arriviamo, è il momento di conoscersi. Se uno può portare qualcosa fa effetto, altrimenti no".
Anche in questo caso, non manca la chiarezza. Sintetizzando: niente ruoli-immagine da ambasciatore, no a una vita post calcistica da "figurina" itinerante. Ecco perché viene automatico pensarlo a Milanello, proprio come quel giorno di settembre quando si è sistemato con naturalezza a bordo campo, accanto a Pioli, a osservare la rifinitura degli ex compagni alla vigilia del Newcastle. Un ruolo di campo, anche se non strettamente di campo. Più difficile immaginarlo nello staff di Pioli, più facile pensarlo clubmanager, ovvero quella figura che fa da collante tra spogliatoio e club. Che ha licenza di interfacciarsi con la squadra così come con la dirigenza. È qui, forse soltanto qui, che probabilmente si sta giocando la partita tra Milan e Zlatan. È qui che probabilmente trova spiegazione un sì che non è ancora arrivato. In ballo c'è la definizione precisa del suo ruolo, su ciò che può fare e dove dovrebbe fermarsi. Perché occorre far coincidere due esigenze precise e primarie: l'ego di Zlatan e la sua esigenza di dare una mano concreta, e la necessità della proprietà di fare in modo che quell'ego non tracimi fuori dall'alveo e si muova in un ottica di condivisione.
La storia recente a Casa Milan, in questo senso, insegna che le cose possono prendere una pessima piega.