Il litigio in casa Napoli assomiglia tanto a quelle litigate familiari dove il padre dispone, la madre media ma dissente e di conseguenza i figli continuano a fare capricci. Se poi si intromettono suoceri e suocere (i tifosi metaforicamente discorrendo), la frittata familiare è bella che servita.
Per fortuna in camera da letto (alias “di consiglio”), sede naturale di espiazione dei dissidi familiari, non ci sono gli avvocati. A onor del vero, a discolpa di questi ultimi, va precisato che nella concezione moderna l'avvocato media, concilia e risolve, nel nome della celerità degli affari e del buon fine dei medesimi. Pertanto i buoni avvocati, quando possono, non si affrontano ma si confrontano, epurati dai carichi emozionali dei contendenti.
E il buon avvocato sa che eventuali strascichi giudiziari sarebbero devastanti per il Napoli, con effetti immediati e diretti sul campo di calcio.

Tuttavia, far finire a “tarallucci e vino” la frittata ormai servita non sembra cosa semplice, perché la questione è articolata e i contendenti si chiamano ADL, Carlo Ancelotti e squadra tutta.
La soluzione, quasi ovvia per questo tipo di crisi, passa attraverso l'esonero/dimissioni dell'allenatore. In alternativa, che ADL voglia pensare di ricostruire già da gennaio una squadra appena progettata per aspirare allo scudetto non è pensabile, sarebbe puro autolesionismo e soprattutto, a voler essere cinici, antieconomico.

Che questo Napoli possa dare di più, è fuori discussione, a condizione che ci sia unità d'intenti fra tecnico e calciatori e che il tecnico sappia tenere in equilibrio i rapporti con la società. Entrambi i presupposti ad oggi sembrano irrealizzati, il tecnico faccia le sue considerazioni “oggettive” e ridia, se lo ritiene possibile, consistenza al progetto iniziale. In caso contrario rassegni le dimissioni, per il bene di tutti.