Maradona, Van Basten, Gullit, Ronaldo (il Fenomeno), Platinì, Matthaus, Shevchenko, Kakà, Zidane. Elenco breve e non esaustivo dei campioni che hanno calpestato i campi della nostra serie A; un tempo neanche troppo lontano, quando la massima serie italiana calamitava campioni da tutto il mondo. I vincitori dei palloni d’oro allietavano le nostre domeniche (perché non esisteva il calcio spezzatino e l’epoca dei diritti tv era solo agli esordi), il sogno per loro era giocare la serie A. Milano si contendeva i campioni “on fire”. La Juventus spendeva miliardi (di lire) per espandere la propria egemonia dall’Italia all’Europa e Roma e Lazio facevano acquisti di giocatori considerati più di semplici comprimari. In questo lungo periodo il nostro campionato era considerato un po’ da tutti il campionato più bello del mondo. Si preferiva una delle “sette sorelle” italiane alle altre squadre europee.

Il secondo decennio del 2000, manifestando delle crepe già formatesi negli anni precedenti, complice l’immobilismo della politica calcistica italiana, ha restituito uno scenario che resiste tutt’oggi: la Serie A è un campionato troppo tattico, economicamente povero, poco “europeo”, utile per un calciatore solo per formarsi e sbocciare, mettendosi in mostra in attesa della chiamata della Premier, delle grandi della Liga e dei monopolizzatori dei rispettivi campionati PSG e Bayern Monaco. Il nostro massimo campionato viene a tutt’oggi considerato alla stregua di una Eredivise qualunque. I nostri campioni se ne vanno verso ingaggi più corposi e palcoscenici più considerati: questa la realtà che ci viene sbattuta costantemente in faccia dalle ultime sessioni di mercato.

Ibra e Thiago Silva al PSG, Pogba a Manchester, Salah al Liverpool, Vidal al Bayern Monaco. Questi sono solo alcuni dei pugni nello stomaco rimediati dai tifosi italiani negli ultimi anni. E quando un campione sceglie la serie A state pur sicuri che, salvo rari casi, è venuto a strappare l’ultimo contratto milionario della sua carriera. Al limite, a rilanciarsi dopo una stagione deludente. Chi ricorda le gesta di Vidic all’Inter, o quelle di Cole alla Roma, o ancora meglio quelle di Eto’o alla Samp? Io, onestamente, no. Ex glorie, ex stelle, quasi ex giocatori. Oppure prestiti di talenti come Rafinha, Deulofeu e Digne, puntualmente ritornati alla casa madre al termine della stagione, o formule di “recompra” che ridimensionano le nostre squadre a semplici succursali delle potenze europee. D’altronde l’Italia, oltre a non offrire, salvo rari casi, stipendi di livello paragonabili ad altre società europee, non abbonda di strutture di livello, stadi di proprietà e di qualità, città sicure e vivibili. E quale potrebbe essere allora lo stimolo, fuori dai casi precedentemente indicati, per un calciatore di livello, per convincersi di venire a giocare in Italia? Nessuno.

Ma l’estate del 2019 riporterà la serie A ai fasti di un tempo, riportandola al centro del calcio che conta. Regalerà Neymar al Napoli, De Bruyne alla Juventus, Kane al Milan e Mbappé all’Inter. Il pallone d’oro lo vincerà Dybala, che nel frattempo avrà guidato la Juventus alla Champions League e giurato amore eterno ai colori bianconeri “incatenandosi ai cancelli dello Stadium”. La Roma, terminato il suo stadio, strapperà il sì di un nuovo Falcão e la Lazio blinderà Milinkovic-Savic. Il Ranking UEFA vedrà la federazione italiana al secondo posto dietro la Spagna, tampinandola. E i tifosi torneranno a godere del campionato più bello del mondo. E vivranno notti da Champions. 

Bellissimo, fantastico surreale. Un sogno, purtroppo irrealizzabile per ovvi motivi. La nuova generazione di fenomeni non calcherà palcoscenici italiani, se non “in prestito” per rilanciare le proprie ambizioni magari sbiadite da una stagione storta. La serie A, con la situazione attuale, non potrà più essere il centro del mondo pallonaro. Ma sognare ad occhi aperti non costa nulla, e allora perché non immaginare Neymar con la maglia del Napoli battagliare con altri fenomeni del nostro campionato? In fondo la nostra serie A è proprio così che vorremmo che fosse.