San Lorenzo è la notte delle stelle cadenti. La notte magica, per eccellenza. Neil Gaiman, scrittore, fumettista e sceneggiatore inglese che in un mondo "normale" dovrebbe aver vinto almeno tre premi Nobel; oltre ad averci regalato Sandman e Lucifer (che tanto spopola nelle serie Netflix), alle stelle ha dedicato un libro.

Si intitola "Stardust", cioè polvere di stelle. Racconta di un amore impossibile tra un terreste (Tristan) e una Stella Cadende (Yvaine), con tanto di lieto fine. E' un inno al coraggio umano, alla fantasi, al superare i propri limiti. 

La notte delle stelle cadenti è San Lorenzo. E San Lorenzo è il 10 Agosto. Ed il numero 10 non può non riportare alla mente di ogni appassionato di calcio ciò che rappresenta: la maglia con cui identificare la fantasia, la libertà di pensiero, la spregiudicatezza, il talento. Concentrato in un numero che di per sè rappresenta per antonomasia questo sport. 

Tradizione che ha origini lontane. Svezia, 1958. Campionati del Mondo di Calcio. L'anno in cui sul nostro pianeta atterra l'astronave dei marziani chiamati Brasile. Didì, Vavà, Garrincha, Zagalo, Nilton e Djalma Santos, Bellini, Orlando. Il giorno della finale, Vincente Feola consegna la distinta dei giocatori che si disputeranno la Coppa del mondo contro la Svezia del trio Gren - Nordhal - Liedholm (favoritissima perchè padrona di casa e unica nazione non flacidiata dalla Seconda Guerra Mondiale). Solo, dimenticata di abbinare ai nomi i numeri, che vengono quindi assegnati a caso ai giocatori. 

Il Ragazzo che sarà Pelè, al secolo Edson Arantes Do Nascimento - detto Dico - prende dunque la 10, per puro scherzo delle stelle. Finisce 5-2 per i Brasiliani. Pelè ne segna due. Quel numero di maglia non sarà più lo stesso. 

E' un Pelè un pò più maturo (più di 1000 reti ufficiali con il Santos e un altro titolo mondiale) che reindosserà quella maglia vent'anni più tardi, in Messico 1970, quando come l'astronauta russo Gagarin sconfiggerà la gravità (quasi andasse a grattare con la testa un po' di polvere di stelle) con un goal memorabile in Brasile -Italia  4-1. In quella squadra, di "10" ce n'erano cinque: Pelè, Tostao, Jairzinho, Gerson e Rivelinho (il piede sinistro di Dio). 

E con il numero 10 sulle spalle non posso non ricordare l'unico uomo ad aver vinto un campionato mondiale praticamente da solo. Nasce a Lanus, nel 1960. Fà (poca) fortuna a Barcellona e (tanta) a Napoli, che lo tratta come un figlio. E' il volto "sporco del popolo", è il nuovo angelo con "la cara sucia".

Diego Armando Maradona è semplicemente il  genio applicato al calcio. O semplicemente colui che lo traghetta - insieme ad un altro ragazzo europeo di cui parleremo dopo - dagli anni 80 alla nouvelle vague degli anni '90, quando la componente atletica e del business avranno la meglio sul romanticismo.

Del tutto imprevedibile, istintivo, mai scontato.  Lui  sì ha un filo diretto, con le stelle: vede le cose prima che gli altri le vedano. Rispetto a Diego sei già vecchio, passato. Quando te ne accorgi, abbozzi il tackel, lui è già avanti a te. Ti ha superato. Come nel 1986 quando da "aquilone cosmico" lascia l'intera Inghilterra alle sue spalle segnando il goal più bello della storia. Vincerà quel mondiale. Perchè ha deciso di farlo. Chiuderà la sua carriera nel Newell's Old Boys di Rosario, la "ciudad del calcio" secondo l'inarrivabile Federico Buffa.

E da Rosario esce anche il prototipo del fantasista moderno. El diez per eccellenza degli ultimi due lustri. Lionel Messi. Rapidità, estro, equilibrio e un'esplosione muscolare che nel breve non ha eguali. Lo ricorda, Diego, ma è più meccanico, più muscolare. Ripetitivo, quasi svizzero nei movimenti. Regalagli 20 cm e sei morto. Parafrasando Mercuzio nè "Romeo e Giulietta a proposito di Tebaldo: "Indugia sulle minime, e poi, un, due e tre, ti è già entrato in petto.". In altre parole accelera senza che tu te ne accorga, ti volti e la palla è già nel sacco. Lui dalle stelle è miracolato. Scelto dal Barcellona e coccolato, per quel suo difetto all'ipofisi (per gli Egizi, la sede dell'Anima) che non lo faceva diventare grande. Oggi è il più Grande di tutti.

Valentina - ho letto in una meravigliosa intervista - lo chiama papà, ed in una afosissima estate americana gli aveva detto che sarebbe stata sempre innamorata di lui. Le stelle hanno raccolto il suo pallone, nel cielo di Pasadena. Noi lo chiamiamo Roberto Baggio. Per quelli non più giovani come me, che nel 1990 erano alle elementari, è l'eroe delle Notti Magiche con Totò Schillaci. La personificazione del ragazzino che con il Super Tele dribbla tutti e va in porta con la palla. Il Raffaello del calcio, il fidanzato di tutta Italia, perchè la sua unica vera maglia era quella della nostra Nazionale. Quando il calcio profumava un pò meno di amminoacidi a catena ramificata e CR7 eau de parfum e un pò più di Chanel n°5, l'essenza scelta dalle due donne più belle del mondo: Marylin e mia madre. Atipico, anarchico, indefinibile. Sopportato dai suo allenatori e amato da tutti i suo molto tifosi. Perchè ne incarnava l'istinto, la passione, la fantasia. Se mi chiedete quale ricordo ho di lui non ho dubbi: una punizione al '90 con cui la Juventus ribaltò in casa la semifinale di Coppa Uefa contro il Paris Saint German del futuro presidente della Liberia Geroges Weah.  Specialista dei Calci di Punizione era anche il giocatore a cui Roberto si ispirava.

Si chiamava Arthur Antunes Coimbra e nella fredda Udine degli anni '80 calciava da solo in allenamento. Con la porta vuota. E la palla andava alta. Sempre. "Verificate l'altezza della traversa, deve essere sbagliata. Io colpisco sempre la traversa". Disse agli addetti campo dell'Udinese. Aveva ragione lui. Noi lo conosciamo come Zico. Il suo piede era guidato dalle stelle, quasi che ogni parabola fosse disegnata prima, quasi prevista. Fuambolica eppure di precisione trigonometrica. Era il numero 10 del Fanta Brasile 1982, quello di Socrates, Falcao, Cerezo, Edinho. Quello fermato da Paolo Rossi e Bruno Conti, che indossava la numero 7. Ma quella del 7 è un'altra storia. Questa è quella del 10. 

Rimanendo in storie Juventine non posso non citare l'oriundo novarese che aveva lo stesso campo visivo dei gufi. Era in grado, cioè, di vedere anche dietro la sua testa. Quasi fossero le stelle a guidare i suoi occhi e suoi movimenti. Si chiama Michel Platini, veniva da Nancy attraverso Saint-Etienne. E la palla andava esattamente dove lui pensava. Geometria, eleganza, essenzialità, freddezza di movimenti. Mai fuori posto. Puro stile franco-sabaudo. Il contrario di quello mischiato ad un grande "Dix" della storia bianconera, che alternava movenze transalpine a movimenti di danza maghrebina e ritmi tipici del sudamerica, Zinedine Zidane. L'uomo baciato dalle stelle del deserto berbero del Nordafrica, di cui era originario. 

C'era poi un Dieci che il dieci non aveva, era il figlio di un verduraio di Amsterdam. Vedeva il mondo in un modo diverso dagli altri. Sapeva di movimenti e accellerazioni di cui gli altri non erano capaci. Aveva preso, insieme ai suoi amici un vecchio modo di fare calcio e lo aveva trasformato in qualcosa di nuovo. Era il nuovo corso della storia in un rettangolo di gioco. Anche lui vedeva le cose prima. Anzi. le immaginava e queste quasi prendevano vita.

Prevedeva quello che sarebbe successo sul campo. Forse per questo avevo scelto il 14, più avanti del 10 e lo avevano soprannominato il Profeta. Johan Cruyff fù l'alfiere del calcio totale in una squadra di stelle. Come le stelle a volte si specchiano nella loro bellezza, così la grande Olanda del 1974 - guardandosi addosso - riuscì a perdere il mondiale contro la concretezza tedesca. 

Mi fermo qui, per motivi di spazio, guardando dalla mia finestra alle stelle di Meazza, Mazzola, Rivera, Del Piero, Totti, Mattheus, Ronaldinho, Eusebio, Sivori, Savicevic, Hagi, Valderrama, Matthaus, Gullit, Di Stefano e Bobby Charlton (che però giocavano con il 9) e gli atri, troppi, che ho dimenticato. Non me ne vogliano.

Magari qualcuno dei miei "Colleghi" su questi Blog avranno tempo e voglia di raccontare le loro storie. 

L'augurio che posso fare ia tutti noi n questo strano San Lorenzo 2020, in un anno in cui per molto tempo abbiamo dovuto forzatamente guardare il cielo chiusi dentro  le finestre della nostra casa,  è che la splendida magia della "Numero 10" (che ci sia lo zampino delle Stelle Cadenti?)  si vada a posare lieve sulle spalle di nuovi formidabili campioni, come fece su quelle di un lustrascarpe della favela di Bauru in una notte Svedese di 60 anni fà.

La notte in cui diventò Pelè.