L'imprinting è l'esempio più noto di comportamento animale. Spiegato in parole semplici, si trattata di una caratteristica tipica degli uccelli o di alcuni mammiferi, che sono in grado di decidere dopo la nascita chi sia il loro genitore in base all'osservazione diretta. Lo scienziato austriaco Lorenz è stato il primo a far conoscere questo fenomeno al grande pubblico, nonchè a riprodurlo in prima persona. Non è inusuale infatti vedere fotografie dell'epoca in cui cammina seguito da un certo numero di oche o di anatre, oppure che lo ritraggano sdraito circondato da paperelle. All'imprinting segue l'adattamento, il fenomeno secondo cui quegli stessi animali seguiranno la loro "mamma" ovunque e per gran parte della loro esistenza da cuccioli. Le teorie di Lorenz, recentemente riproposte per i 70 anni dalla pubblicazione de "L'anello di re Salomone" - il suo libro più famoso, costituiscono le basi della moderna etologia.  Da qui al calcio il passo è breve, basti guardare la trasformazione dei giocatori dell'Inter dopo l'arrivo di Antonio Conte (che ha preteso l'allontamento dei cosidetti Alpha - cioè leaders positivi o negativi - del gruppo quali Nainggolan, Perisic ed Icardi) o dei giocatori del Tottenham con l'avvento di Jose Mourinho (che di adattamento ed etologia se ne intende dai tempi del Barcellona di Robson). Oppure provate a togliere Gasperini dalla magnifica Atalanta dell'ultimo triennio. O, viceversa, cambiate squadra a qualche giocatore dell'Atalanta dei Miracoli, come ad esempio Gagliardini, Conti o Caldara che non hanno mantenuto lo stesso rendimento in Milan e Inter. Lo stesso Zapata è esploso appunto solo tra le file degli Orobici. Trasportato nel cinema natalizio, è un po' il concetto del classicissimo "Una poltrona per due" di John Landis, in cui un povero ed un ricco (gli inarrivabili Dan Aykroyd e Eddie Murphy) vengono scambiati di ruolo per scommessa, adattandosi progressivamente alle nuove vite. 

Per quanto riguarda la Juventus, il modello di Lorenz è facilmente applicabile alla luce del cambio di guida tecnica. Si viene da cinque anni di Max Allegri, cinque anni di successi e di gestione del gruppo. A parte il primo, in cui la macchina Juventus, con pochi innesti (Morata) presentava ancora l'imprinting da furore agonistico di "papà Conte", fuggito in una notte d'estate. La Juve della BBC e del centrocampo Pirlo-Vidal-Marchisio-Pogba sfiorò il triplete l'anno successivo, cedendo in finale a Berlino al Barcellona. Dall'anno successivo si parlò di vera e propria "Juve di Allegri" che è stata costruita nei 4 anni successivi con una "spina dorsale" solida e fissa: oltre alla nota BBC ecco Alex Sandro, Khedira, Cuadrado, Dybala e Mandzukic poi Pjanic, Bernardeschi e Matuidi. Dopo il cambio massiccio in campo, la prima compagine Allegriana arrivò al 12° posto in classifica prima di rimontare e vincere lo scudetto a mani basse. Negli anni successivi si sono alternati campioni come Dani Alves, Higuain e Ronaldo, ma l'ossatura della squadra è rimasta più o meno la stessa, nonostante artefizi tecnici e tattici (quale il 4-2-3-1 che portò la Juve a Cardiff) che Allegri - persona sicuramente pragmatica ed intelligente - fu bravo a gestire. 

Quello che è successo alle zebre juventine (giusto per parallelismo animale con Lorenz) è che improvvisamente non hanno più trovato, davanti a loro, colui che per 4 anni aveva gestito il loro modo di giocare, di allenarsi, di concepire il mondo Juventus. Sono rimasti gli stessi, con una guida completamente diverse: dove prima dovevano camminare e gestire, ora devono correre; dove prima giocavano speculando, ora devono imporre il loro ritmo. Chi doveva interdire, deve proporre. E un ragazzo con il numero 7 non ha più un fratellastro croato che corre e apre spazi anche per lui, ma due fratellini talentuosi che si dividono la scena. Il cambio, in panchina, è epocale. Il cambio nella rosa non c'è stato o forse non si è riusciti a farlo. O ancora si è tentato di cambiare guida tecnica per aver egualmente risultati. Fatto sta che le vittorie sono arrivate (e molte) più in Allegriana che in Sarriana memoria. La stessa cosa è successa a Napoli, dove da due anni i giocatori di Sarri sono rimasti senza il loro "papà" e non si sono mai abituati al nuovo, seppur si tratta del grande Carlo Ancelotti. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, compreso il recente esonero. 

In Veneto c'è un detto che recita più o meno così "Ci nasse musso non more mia caval", cioè che ci nasce asino non muore di certo cavallo. La rosa della Juventus è costituita da cavalli di razza, quindi penso che sarà solo necessario resettare il vecchio imprinting e l'adattamento alla nuova realtà. La vera domanda da porsi è quanto la vecchia guardia allegriana (Mandzukic già fuori da tempo) potrà o vorrà resistere al cambio radicale. Il tempo c'è, visto l'ottimo risultato colto in Champions con la vittoria nel girone, così che la squadra si faccia trovare pronta "quando conta davvero", cioè in primavera. Senza andare il letargo però: i Biscioni di Milano, nonostante la stagione fredda non sia avvezza ai rettili, in campionato hanno assimilato a velocità luce del loro nuovo "genitore".