Uno dei ricordi più emozionanti che ho di San Siro risale a un mediocrissimo Milan - Spal di Coppa Italia. È il 15 gennaio 2020,  verso le 7 di sera, ho 21 anni e mi appresto ad andare a San Siro per la prima volta da solo. Prendo il tram in Duomo. Passo mezz’ora a guardare fuori dal finestrino, non perché non abbia mai visto Milano dal finestrino di un tram – lo faccio sempre – ma perché è la prima volta che faccio quel tragitto e non voglio assolutamente perdermelo. Assorto nei miei pensieri, non mi ero nemmeno reso conto di essere arrivato in zona San Siro. Improvvisamente, da dietro dei palazzi, fa capolino lui, immenso, imponente come sempre.
Sembra che il percorso del tram sia studiato ad arte per regalare quello scorcio di bellezza: passando dalla parte in cui manca il terzo anello, quindi settore arancio, si riesce ad intravedere l’interno dello stadio, con le prime persone che si apprestano a prendere posto nel settore rosso di fronte. Poi a me è sembrato di vedere anche il campo ma forse è stata solo un’impressione. Avevo visto tante volte San Siro, ma mai da quella prospettiva.

Sempre in quel mediocre Milan – Spal, finito 3 a 0, al 19’ della ripresa entra in campo Suso al posto di Castillejo. Mister Pioli, forse senza pensarci troppo, lo dà in pasto a San Siro che aspettava quel momento da 79 minuti (64 più l’intervallo) e al suo ingresso in campo esplode in un unisono ed assordante fischio. Non avevo mai sentito San Siro fischiare così forte. Io me ne sto zitto, mogio mogio. Solitamente non fischio i giocatori perché giocano male: mi metto nei loro panni, dev’essere bruttissimo essere fischiato dai propri tifosi, soprattutto se si tiene alla maglia con la quale si gioca. Certo anch’io a volte ci casco ed entro a far parte di quell’irrazionale e deumanizzante folla, ma quella volta no, ero rimasto lucido ed individualista, anche perché Suso era uno dei miei rossoneri preferiti.

Era stato l’ultimo bel colpo a zero di Galliani e per anni aveva tirato la carretta in un Milan che mancava di qualità e personalità. Era stato l’unico in grado di accendere la luce in un periodo di lungo buio (insieme al povero Bonaventura, che però era stato per lo più assente per infortuni vari). Poi, è vero, aveva delle pause, spesso troppo lunghe. Una delle ultime volte, forse l’ultima, che aveva acceso la luce in un San Siro assonnato e intorpidito dal freddo era stato proprio in occasione di un altro Milan-Spal, il 31 ottobre 2019. Casualmente ero allo stadio anche quella volta e casualmente anche in quell’occasione era prima stato sommerso di fischi. È un Milan obiettivamente inguardabile. Per buona parte del tempo il risultato è di 0-0. La decide Suso su punizione, con il suo meraviglioso sinistro telecomandato.

Comunque torniamo al 15 gennaio.
Suso è visibilmente in difficoltà da mesi, anche a causa dei molti fischi ricevuti e pochi giorni dopo verrà ceduto al Siviglia: una liberazione per tutti, per lui stesso, per San Siro, e anche per i suoi estimatori come me, che avevano perso le speranze di rivedere il vecchio Suso. I fischi sono assordanti ma a un certo punto, dalla curva (in realtà non so da dove sia partito ma mi piace pensare che sia così), si alza timidamente un coro, prima quasi sottovoce, poi sembra prendere un po’ di coraggio e quindi di forza, ma sempre con un certo pudore, come se non volesse essere giudicato male dalla massa. Suuuuso, Suuuuso, allo stesso ritmo con cui a Barcellona cantano Meeeessi, Meeeessi (non che qualcuno volesse paragonare Suso a Messi, per carità, ma le due sillabe del soprannome dello spagnolo si sposano a meraviglia con quella melodia).
Quel coro sembrava dire: “Tranquillo Suso, noi ti vogliamo ancora bene, nonostante tutto”. Io non canto. Vorrei tanto farlo ma sono nei distinti, nel primo anello e lì non si canta, a meno che non si tratti di cori che sanno tutti. In quel momento mi sono sentito orgoglioso dei miei ultrà.