La UEFA Champions League è la competizione sportiva per club più importante e seguita al mondo. Per questo il suo regolare svolgimento è fondamentale per il mondo del calcio e dello sport in generale, ma anche per l’economia dell’Unione Europea, in quanto il calcio rappresenta uno dei settori economici più prolifici e che coinvolgono il maggior numero di aziende e persone. Lo è a maggior ragione in un periodo storico come questo, in cui il coronavirus sta letteralmente distruggendo i settori in qualche modo legati allo svago ed al divertimento.

La gestione della scorsa edizione, nonostante tutte le criticità derivate da una crisi sanitaria che nessuno sapeva come affrontare, è stata praticamente perfetta: la fase finale, dai quarti in poi, è stata giocata a Lisbona dal 12 al 23 agosto, esclusivamente con partite secche. Si è trattato di una soluzione emergenziale che non deve e non può diventare la prassi ma, visto che la situazione sanitaria non accenna a migliorare, è molto probabile che servirà da esempio anche per la fase finale 2021. La mia proposta prende ispirazione proprio da quella, con un occhio di riguardo anche per il successo riscontrato dalla  bolla creata dall'NBA per regular season e palyoff.

La fase finale della Champions League (dagli ottavi in poi) deve essere a mio avviso successiva alla fine dei campionati nazionali, per permettere una gestione simile a quella del 2020 e per consentirne lo svolgimento nel minor tempo possibile. Si potrebbe quindi imporre alle federazioni nazionali di finire i campionati entro il 30 aprile: non essendoci le coppe europee di mezzo, non dovrebbe essere particolarmente difficile. Dopo una settimana di riposo inizierà la fase finale della Champions. La gestione dell’Europa League meriterebbe invece un discorso a parte, essendo più lunga e coinvolgendo un maggior numero di squadre e nazioni.

Secondo la mia proposta, la fase finale della Champions League inizierebbe sabato 8 maggio, e si giocherebbe ogni tre giorni. Tutte le partite di ogni turno si giocherebbero lo stesso giorno, magari ad orari differenti, per poter permettere una definizione rigorosa del calendario. La soluzione della partita secca deve essere considerata a mio avviso una soluzione d’emergenza, che non può trovare continuità. Squadre come Lipsia e Lione difficilmente sarebbero arrivate in semifinale se si fosse giocato il ritorno dei quarti ed è evidente che due semifinali come Bayern Monaco-Manchester City e PSG-Atletico Madrid avrebbero avuto tutt’altro appeal, avrebbero fornito tutt’altro spettacolo e chissà, magari un esito finale diverso.

Seguendo queste indicazioni, il calendario potrebbe essere così definito.
Gli ottavi di finale si giocherebbero l’8 e l’11 maggio, i quarti il 14 e il 17, le semifinali il 20 e il 23. Si potrebbe poi concedere una settimana di riposo e preparazione in vista della finale, che si potrebbe fissare a domenica 30 maggio. Si potrebbe infine spostare di una decina di giorni l’inizio degli Europei, dall’11 al 20 giugno per permettere ai calciatori di avere qualche giorno per ricaricare le energie ed essere comunque a disposizione dei loro CT con ampio anticipo rispetto all’inizio della competizione.

Una questione di importanza vitale è la sede, o le sedi, che ospiteranno la fase finale della Champions League. La felice esperienza di Lisbona 2020 ci indica la via e potrebbe essere integrata, nel caso in cui i contagi fossero ancora elevati, dalla ormai celeberrima bolla messa in pratica dall’NBA: si tratta solo di 22 giorni al massimo, nulla di irresistibile. Per poter gestire al meglio lo svolgimento, bisognerebbe definire una zona circoscritta e di piccole dimensioni, ma che possa vantare un buon numero di stadi. Istanbul, città dove, da calendario, si dovrebbe giocare la finale 2021, presenta alcune criticità. In Turchia c’è la dittatura e non è mai troppo giusto che si consenta ad una dittatura di ospitare l’evento sportivo dell’anno (il calcio può e deve dare determinati segnali, anche politici). È ancora meno sensato farlo nel bel mezzo di una pandemia globale, dove la trasparenza è fondamentale nella gestione di eventi di questo calibro.

Londra invece, con i suoi numerosissimi stadi, sarebbe perfetta per ospitare la manifestazione. La capitale del Regno Unito vanta infatti una dozzina di impianti all’avanguardia. Per ospitare gli ottavi di finale basterebbero soltanto gli 8 più più importanti: Wembley (circa 90 mila posti), il New White Hart Lane del Tottenham (circa 62 mila posti), l’Emirates Stadium dell’Arsenal (circa 60 mila posti), l’Olympic Stadium del West Ham (circa 60 mila posti), il gioiellino del Chelsea Stamford Bridge (circa 41 mila posti), il caratteristico Craven Cottage del Fulham (circa 25 mila posti), il Selhurst Park del Crystal Palace (circa 25 mila posti) e il Vicarage Road dell’adiacente cittadina di Watford (circa 21 mila posti). Alcune valide alternative possono essere rappresentate anche dal The Valley del Charlton (circa 27 mila posti), il The Den del Millwall (circa 20 mila posti) e il Loftus Road del QPR (circa 18 mila posti). Per i quarti di finale si potrebbero considerare solo i primi quattro, per le semifinali Emirates Stadium e New White Hart Lane e per la finale, ovviamente, Wembley.

Un nodo critico è infine rappresentato dalla questione spettatori. La gestione di quest’ultimo aspetto è difficile da prevedere a priori perché molto dipende dal numero dei contagi che ci saranno a maggio. In ogni caso sarebbe bene evitare di vedere scene come quella vista a Rennes durante la partita di Champions contro il Krasnodar. Allo stesso tempo sarebbe molto triste vedere stadi di 60 mila posti riempiti desolatamente da sole mille persone, spettacolo raccapricciante che purtroppo ci stiamo abituando a vedere a San Siro. Come al solito la verità sta nel mezzo.