Sicuramente sarà capitato innumerevoli volte al tifoso medio. Osservare una partita della propria squadra del cuore e risentirsi per quella serie ripetuta e ingiustificata di passaggi all'indietro, per poi esclamare:

"Ma che cosa stanno facendo, non sanno che la porta è dall'altra parte?"

Personalmente, mi sono trovato in molte occasioni in un contesto del genere, soprattutto nel corso dell'ultima stagione, seguendo la squadra per cui tifo fin da bambino, il Milan.

Sono nato negli anni '90, non posso certo vantarmi di aver assistito ad un numero di partite tale da poter condurre uno studio sistematico sull'idea di calcio degli ultimi decenni, ma di una cosa sono sicuro: prima non si passava così frequentemente il pallone all'indietro. Uno dei concetti di cui sono fervidamente convinto, è che in ogni ambito, per essere anche solo ammessi, sia necessario un ottimo bagaglio in termini di competenze e conoscenze. Partendo da questo presupposto, nelle massime categorie dei campionati di calcio dovremmo assistere sempre ad uno spettacolo degno dei migliori professionisti del settore, così come chi ha desiderio di ascoltare la massima espressione di un'opera sinfonica si reca alla Scala per ammirare il maestro Muti e i musicisti che compongono l'orchestra, tutte eccellenze nel proprio settore di competenza.

Quando il tifoso si reca alla Scala del calcio, il risultato è un tantino differente: certe volte mi sono spontaneamente domandato se i giocatori sapessero cosa stessero facendo, soprattutto rispetto all'idea del passaggio all'indietro. L'esasperazione derivante dalla bramosia di dover gestire a tutti i costi la palla, indipendentemente dal raggiungimento del fine ultimo del gioco del calcio, vale a dire quello di imbastire una manovra per attaccare la metà campo avversaria e finalizzare in rete un'azione, ci sta costando lo spettacolo. Come se non bastasse, inculcare nei giovani calciatori l'idea che il possesso palla fine a se stesso sia il principio primo, sta producendo come effetto quello di plasmare dei profili anonimi: giocatori che letteralmente non sanno cosa fare con la palla tra i piedi se non scaricarla al primo compagno libero, anche se questo è il portiere, da servire con un retropassaggio di 30 metri. Il pallone scotta e nessuno vuole prendersi la responsabilità di fermarsi un attimo a pensare quale sia la giocata migliore, forse perché si è persa l'abitudine di insegnare questo concetto. Il calcio è sicuramente un gioco fisico, di contrasto, ma la testa conta tantissimo, tant'è che molto spesso si sente tra gli addetti ai lavori l'espressione "si tratta di un calciatore intelligente".

Una manovra articolata nelle retrovie, a meno che non sia strettamente funzionale alla specifica situazione di gioco, non può essere il fondamento di uno stile di gioco. La stasi che ne deriva, il ristagnamento nella propria metà campo, non possono che favorire l'avversario, in grado di tenere con successo la posizione e in agguato per sfruttare il minimo errore nell'intricata trama orchestrata talvolta quasi sfacciatamente da portiere e compagni di reparto. Mi vengono in mente come episodi eclatanti quello che ha consegnato alla Sampdoria la vittoria a Marassi sul Milan per 1-0 nel campionato scorso e che può intendersi come una di quelle situazioni che hanno concorso ad impedire al Milan di accedere alla prossima Champions League. Oppure lo sciagurato retropassaggio verso Donnarumma di qualche anno fa, in occasione di un Pescara-Milan.

Un giocatore dovrebbe sempre avere come riferimento lo scopo ultimo del gioco, che passa inevitabilmente dall'attacco alla porta avversaria, e tendere ogni nervo per il raggiungimento dello stesso. Assicurarsi di formare un professionista del gioco del pallone, in grado di garantire uno spettacolo di un certo livello ad un pubblico pagante, deve divenire la priorità nelle scuole calcio, ancor prima degli insegnamenti sull'importanza del conseguimento della vittoria. Perché anche il calcio è un gioco di testa e, come in tutti i settori, c'è chi è più predisposto e chi meno.