Negare l'evidenza servirebbe a poco, trovare delle giustificazioni a molto meno: la prestazione offerta dal Milan domenica pomeriggio è stata sconcertante, da tifoso, non potrei essere più amareggiato e sconfortato. Quel che più desta rabbia e preoccupazione, è aver assistito ad un vero e proprio annichilimento del gioco, dopo un'estate trascorsa sulla scia dell'entusiasmo ad attendere quella rivoluzione tattica che avrebbe necessariamente dovuto produrre il tanto agognato bel calcio e far dimenticare il travaglio tecnico-tattico delle ultime deludenti stagioni.

E invece nulla di tutto questo si è verificato, anzi, il ritorno alla realtà, dopo le notti d'estate passate a sognare un Milan migliore, per lo meno più bello ed efficace, si è rivelato più che mai doloroso e destabilizzante. Preoccupante è stato l'operato di Giampaolo, apparso disorientato, confuso, quasi impotente di fronte ad uno spartito tattico, quello proposto dall'Udinese, per nulla trascendentale, ma sicuramente ben orchestrato nella sua efficacia e semplicità. Il tecnico abruzzese avrebbe potuto agire allo stesso modo, ragionando con altrettanta semplicità: non era richiesto fare sfoggio di chissà quale artificio tattico o di qualsivoglia idea rivoluzionaria, sarebbe bastato cominciare con il collocare gli uomini giusti nella posizione corretta, per gli esperimenti complessi o per gli adattamenti di ruolo ci sarebbe stato sicuramente tempo. Probabilmente condizionato da un'eccessiva necessità di appellarsi alla prudenza e, in buona misura, anche dalla forte emozione, mai celata, di esordire su una panchina prestigiosa come quella del Milan, Giampaolo ha optato per uno stile conservativo, relegando in panchina i nuovi acquisti che, a suo dire, non sarebbero stati ancora pronti, e ha disposto le pedine del suo scacchiere tattico in modo alquanto discutibile. 

  • Calhanoglu in posizione di playmaker si è rivelato essere una grandissima delusione: braccato dal generosissimo lavoro svolto encomiabilmente dalla coppia Lasagna-Pussetto e sempre timoroso nel fare la giocata, nel produrre l'iniziativa. Molto spesso si sono visti i due centrali di difesa, Musacchio e Romagnoli, salire fino alla linea di centrocampo nel tentativo di scovare uno spiraglio per impostare, con il turco clamorosamente assente da quella porzione di campo, mimetizzato nella selva di maglie a centrocampo.
  • Borini schierato come mezzala di centrocampo, sicuramente un azzardo. L'ex Roma è indubbiamente un elemento polivalente, uno di quei giocatori che riscuotono immediatamente l'amore e il sostegno della tifoseria per la generosità e l'impegno con cui dimostrano di sposare la causa, per il costante spirito di sacrificio. Verrebbe spontaneo accostarlo a Padoin, il "talismano", ai tempi della Juventus, relativamente ai concetti di versatilità e di applicazione: tuttavia, gli allenatori della Juventus, a meno di circostanze di emergenza clamorose, non si sarebbero mai sognati di puntare a colpo sicuro sulla titolarità di Padoin, molto più efficace nel ruolo di jolly, soprattutto a partita in corso.
  • L'equivoco tattico di Suso, una scommessa persa già in partenza. L'esperimento di affidare allo spagnolo le chiavi della trequarti di campo non ha sortito minimamente gli effetti sperati. Certo, la storia del calcio è colma di esempi di processi di adattamento e cambio ruolo risultati intuizioni vincenti, ma quello di Suso, ahimè, non sembra proprio essere il caso. Avulso, prevedibile, costantemente alla ricerca del decentramento che gli è più caro, mai in grado di dettare la verticalizzazione, quella caratteristica che dovrebbe cioè essere la prerogativa del vero 10.
  • Castillejo schierato seconda punta, lui che per certi versi è ancora un enigma tattico ma che, sicuramente, adeguata spalla d'attacco per Piatek non è. Probabilmente, se il regime era quello degli azzardi, avrebbe avuto più senso proporre un André Silva in quel ruolo, mossa che avrebbe potuto avere anche una valenza strategica in prospettiva mercato, una possibilità di esibirsi e rimettersi in gioco per il portoghese.

Il capro espiatorio della confusione tattica che ha caratterizzato lo schieramento offensivo del Milan è stato poi Piatek. E' fuori discussione che il polacco sia ancora imballato, forse poco lucido, sicuramente non al top, ma il terminale offensivo è il primo elemento a risentire della sterilità di una manovra d'attacco involuta e inconcludente.

Marchiano errore, in termini di comunicazione, sono state poi le parole di Giampaolo nel post partita, quasi a voler certificare uno stato di confusione e di tensione. Comprensibile che si voglia cercare di cambiare per migliorare, ma si potrebbe evitare di sconfessare pubblicamente una filosofia di gioco sulla quale si è deciso di fondare la preparazione degli ultimi due mesi. Un po' più di discrezione non avrebbe guastato, il risultato è stato solo quello di produrre nell'uditorio grande apprensione e preoccupazione.

Infine, tutti i nuovi arrivi in panchina: il triste spettacolo che è metafora della prestazione offerta dal Milan, è anche figlio di questa scelta, probabilmente più timorosa che strategica. Bennacer, nei pochi minuti di partita disputati, ha subito mostrato di saper meglio interpretare il ruolo rispetto a Calhanoglu, e Rafael Leao, relativamente a quei pochi palloni che potuto giocare, ha confermato di essere un ottimo prospetto, dal tocco sensibile e dall'ottima capacità di movimento.

In definitiva, peggio non si sarebbe potuto partire. Il lato positivo è che sicuramente, dopo aver toccato il fondo, non si possa far altro che rialzarsi. Sensata appare l'idea di avallare un cambio di modulo, tuttavia, più che rispolverare il tanto millantato 4-3-3, si potrebbe optare, in mancanza o in attesa di una seconda punta, per un modulo che presupponga la presenza di una certa qualità dietro le punte. Il Milan può vantare la presenza in rosa di un buon numero di giocatori dai piedi buoni, come Suso, Paqueta, Calhanoglu e soprattutto contare sul ritrovato Bonaventura, abilissimo negli inserimenti. Si potrebbe pensare ad una batteria di mezze punte dietro Piatek, da supportare adeguatamente con la tassativa presenza di un incontrista, Kessie, a fare da scudo e spalleggiare il regista basso davanti alla difesa, che a questo punto non potrebbe che essere Bennacer. Un 4-2-3-1 o un 4-3-2-1 che avrebbero anche il pregio di restituire un po' di centralità ed efficacia ai movimenti di Piatek.

Giampaolo deve necessariamente raccogliere in fretta i cocci del suo Milan, restituire in primis sicurezza ed identità alla squadra. Non gli è richiesto di essere un vincente, né il suo operato può essere etichettato già a questo livello, dopo una sola partita, come fallimentare. Il tecnico abruzzese deve plasmare la squadra sulla base del materiale a disposizione, ripartire dalla semplicità, soprattutto dalla produzione di un'idea di gioco. Nostalgicamente, auspico che il Milan possa tornare ad orchestrare ed esibire un calcio di un certo spessore, che la famigerata "Maledizione del Nove" si riveli essere solo un equivoco figlio dell'isolamento a cui attualmente è condannato il malcapitato che interpreta il ruolo di prima punta. Giampaolo deve essere un direttore d'orchestra e assicurarsi che i suoi musicisti seguano alla perfezione uno spartito tattico accuratamente predisposto, in cui ognuno riconosce la propria adeguata collocazione.

La domanda che aleggia nella mente e scalda i cuori dei tifosi a questo punto è la seguente: "Potrà mai l'orchestra Milan tornare ad eseguire una sinfonia?"

Interrogativo enigmatico, non c'è dubbio. Che sia possibile o meno, quel che conta è non smettere di provare ad inseguire l'obiettivo, indipendentemente dal timore del fallimento, o dalla smania di raggiungere un successo. Poiché, rievocando le parole di Winston Churchill,

"Il successo non è mai definitivo, il fallimento non è mai fatale, è il coraggio di continuare che conta".