A partire dalla nascita delle ancestrali e rudimentali forme di arte, fino ad arrivare, in epoca moderna, alla definizione sistematica del metodo scientifico, l'essere umano ha da sempre elevato la realtà che lo circonda al rango di principale fonte di ispirazione, nonché di primario punto di riferimento per condurre l'indagine conoscitiva. L'osservazione di ciò che è immediatamente al di là del soggetto, che varca i confini dell'io, ciò che è diverso da quanto già si conosce, non può che destare meraviglia e stupore, un fascino con il quale si ha immediatamente desiderio di interagire. E' proprio questo condizionamento emotivo a generare l'inconscia esigenza di rendere riproducibile quanto di sublime si sia sperimentato, una riproducibilità che si estrinseca tanto in maniera figurativa e diretta, come avviene per l'ambito artistico, quanto in forma concettuale e fenomenologica, come per le scienze.

La prima necessità di chi si accinge ad immortalare una scena, ad incastonare nel tempo un attimo fuggente, avvalendosi di un'opera scultorea o di una pittura, è quella di conferirle il massimo grado di realismo, così che le emozioni realmente vissute possano eternamente resuscitare, rievocate da una realtà ideale. Nasce in questo modo la sfida alla riproducibilità della tridimensionalità della realtà, un percorso che nelle arti si è declinato sin dai tempi più antichi, producendo capolavori di sublime bellezza: basti pensare alla plasticità avvolgente, alle pieghe levigate e morbide delle opere di Prassitele e Fidia, oppure, in epoca Neoclassica, alla sinuosità sospesa, al panneggio e alla leggiadria di quelle di Canova. In pittura, innumerevoli sarebbero gli esempi da poter citare, forse il più illustre è quello di Leonardo da Vinci, teorizzatore della cosiddetta prospettiva aerea, vale a dire la tridimensionalità indotta mediante l'effetto progressivamente sfumato del colore, mano a mano che i piani di rappresentazione convergono verso lo sfondo.

La tridimensionalità risulta essere un concetto degno di indagine anche nel mondo del calcio, tanto in termini di bellezza quanto di efficacia. Sottile e non immediata è l'evidenza relativa alla tridimensionalità dell'azione di gioco: infatti, sebbene si sia portati a reputare lo sviluppo della manovra una questione da contestualizzare esclusivamente entro i limiti del rettangolo verde, è da non tralasciare la fondamentale constatazione in virtù della quale le traiettorie dei passaggi e dei tiri in porta seguano giocoforza dei percorsi in lunghezza, larghezza e altezza. Pertanto, considerando tutte le componenti spaziali, le traiettorie risultano essere in generale dei percorsi nello spazio e non nel piano. Simpaticamente, dal punto di vista geometrico, si potrebbe parlare di “parallelepipedo di gioco”, piuttosto che di rettangolo, includendo cioè la proiezione verso l'alto delle linee di delimitazione del terreno. In effetti, qualsiasi pallone che esca dal campo ad altezza arbitraria da terra, non potrebbe che abbandonare la zona effettiva di gioco attraversando geometricamente la proiezione verso l'alto della linea di campo e non, materialmente, la linea di campo stessa.

Se si effettua questo cambio del punto di vista, se si adotta, è il caso di ribadirlo sulla scorta di quanto menzionato ad inizio testo, una diversa prospettiva, si è abilitati a passare all'analisi di quanto avviene all'interno della reale regione di gioco, una regione che è a tutti gli effetti un volume. Ed è proprio in questo volume che si concretizzano le gesta atletiche e le giocate migliori, quei capolavori tecnici da ammirare tanto per la propria intrinseca bellezza quanto per la funzionalità e l'efficacia. Rovesciate, mezze sforbiciate e stacchi imperiosi di testa per le piccole altezze, azioni cioè in cui è il giocatore stesso a muoversi nello spazio, ma anche, più in generale, traiettorie paraboliche e tagli di campo, percorsi sapientemente avviati dal talentuoso piede del campione, che descrivono delle scie di fronte alle quali talvolta la meraviglia è tale da rimanere basiti. E' il regno dei calci di punizione con effetto impossibile, delle fucilate a mezza altezza, dei cambi di gioco col contagiri, per citare solo alcune delle più celebri espressioni a cui ricorrono i telecronisti per manifestare al contempo incredulità e ammirazione estreme. E, di riflesso, si tratta del palcoscenico per eccellenza in cui si esibiscono i più grandi campioni: i giocolieri del pallone, i registi, i fantasisti, i bomber d'area, tutti professionisti del gioco nella terza dimensione, uno stile che ammalia e fa luccicare gli occhi pe la sua ineffabile bellezza, ma al tempo stesso incredibilmente efficace e funzionale.

Una giocata tridimensionale ben orchestrata, infatti, si rivela spesso essere di difficile previsione, in termini di lettura preventiva dell'azione, da parte delle difese avversarie. Il cambio di gioco, l'imbucata a scavalcare, la parabola diretta nel sette, tutte evoluzioni dell'azione che giocano sull'elemento sorpresa e rubano tempi di gioco, vanificando l'attuazione di una azione difensiva sistematica e proficua. Per contrasto, l'esasperazione di uno sterile gioco palla a terra la cui unica prerogativa è quella di smistare il pallone a beneficio del compagno più vicino, non può che generare una stasi della manovra, un non-gioco che si sostituisce alla concretezza di un'iniziativa bella ed efficace.

Il tiro a giro di Del Piero, il famoso esterno di Roberto Carlos, i "cucchiai" di Totti, le punizioni di Juninho Pernambucano, le parabole marchio di fabbrica dell'azione a rientrare di Robben, le rovesciate di Cristiano Ronaldo, le traiettorie impossibili di Messi, ma anche le geometrie in volo orchestrate da Pirlo, Rui Costa e Zidane per imbeccare i compagni, solo per citare alcuni illustri esempi tratti dal presente e dal recente passato: letteralmente e metaforicamente vere e proprie perle che si librano in aria e solcano lo spazio, brillando di luce propria, irradiando verso lo spettatore attonito che ammira lo spettacolo del calcio.