Il gioco degli scacchi, anche conosciuto come "Nobil Giuoco", è una delle più affascinanti creazioni della mente umana. La scacchiera non è solo teatro di uno scontro intellettuale tra due giocatori che si confrontano in un'avvincente sfida strategico-tattica per conseguire la vittoria finale, ma è metafora di una profonda lotta antitetica in cui, filosofie ben distinte, modi differenti di essere e di intendere le cose, sono inevitabilmente chiamate a fronteggiarsi per la conquista della supremazia.

Secondo l'ex campione del mondo Garry Kasparov, "I pezzi bianchi e neri sembrano rappresentare divisioni manichee tra la luce e l'oscurità, tra il Bene e il Male, nello stesso spirito dell'uomo".
 
La partita sul tavolo da gioco, in definitiva, si può interpretare su più livelli, una sorta di meccanismo autoreferenziale in virtù del quale il confronto si riproduce continuamente, consentendo di identificare partite all'interno della partita. Sulla scorta di questo parallelismo concettuale, superando il limite rappresentato dal ruolo del semplice spettatore di un incontro di calcio, è possibile elevarsi al grado di osservatore critico, che procede ad un'indagine più approfondita delle dinamiche di gioco, così come lo studioso di settore con dimestichezza si avvale della teoria per ancorare su solide fondamenta la robustezza dei propri risultati. In questo senso, i derby di Milano cui l'Italia calcistica si appresta ad assistere, sono carichi di sfumature e significati, che esulano dal mero confronto sul rettangolo verde e dalla quantificazione del punteggio al termine dei novanta minuti di gioco.
 
Conte e Giampaolo, d’altronde, l’hanno già ampiamente dimostrato: è stato sufficiente osservarne gli stili ed ascoltarne le argomentazioni in fase di presentazione alla stampa e ai tifosi, per saggiare precocemente quanto sia marcato il solco che intercorre tra le due dottrine calcistiche cui i nuovi corsi di Inter e Milan hanno deciso di appellarsi per rilanciare le rispettive ambizioni. Il neo tecnico nerazzurro è apparso immediatamente in clima da competizione, lo sguardo serio e impassibile, l’espressione assorta e corrucciata, tradendo un livello di tensione già palpabile, sicuramente in parte giustificato dall’attesa, per certi versi quasi snervante, a cui le strategie di mercato interista l’hanno costretto ad adeguarsi, ma in misura maggiore interpretabile rammentando che un allenatore del calibro di Antonio Conte è prima di tutto un condottiero. Il buon comandante, infatti, al fine di assicurarsi il successo nella campagna militare che si appresta ad intraprendere, sa di dover conseguire in anticipo, ben prima che la tenzone sia ufficialmente iniziata, una ragionevole certezza che gli eventi si pieghino al suo volere. Come amava ripetere il poeta latino Orazio, “In tempo di pace l’uomo saggio si prepara alla guerra”. Conte è un professionista meticoloso e calcolatore, che non lascia nulla al caso, e probabilmente questo è il principale segreto alla base dei suoi recenti successi, basti pensare ai tre scudetti consecutivi che hanno contribuito a rilanciare e proiettare definitivamente la Juve nell’Olimpo delle più forti d’Europa, oppure all'ottimo traguardo raggiunto alla guida della Nazionale ad Euro 2016, una compagine sulla quale in pochi avrebbero scommesso anche solo un soldo, ma in grado di arrivare quasi in fondo alla manifestazione tenendo botta, con la forza della disperazione, agli assalti di una più quotata Germania, e in definitiva bloccata solo dalla sfortuna e da una buona dose di ingenuità ai tiri dagli undici metri. Il tecnico pugliese è per indole un assiduo ricercatore della vittoria, uno a cui non piace dipendere dai capricci del caso, essendo l’aleatorietà la primaria fonte di incertezza per chi esagera nell’appellarvisi. Conte non vuole essere alle dipendenze degli eventi, piuttosto è uno che sa quanto debba lasciare fare al caso.  
 
Sul fronte rossonero è invece approdato Marco Giampaolo: il primo impatto avuto con il pubblico è risultato caratterizzato da un’atmosfera totalmente differente rispetto al clima respirato sull’altra sponda del Naviglio. Il tecnico abruzzese è apparso estremamente sorridente e spensierato, felice come un bambino dinanzi al balocco tanto desiderato, finalmente stretto tra le mani dopo tanta attesa e trepidazione. Questo punto è sicuramente cruciale per spiegare l’ottimo umore di Giampaolo, per la prima volta in carriera al timone di una squadra di blasone, ciononostante, l’ex Sampdoria ha certificato, anche nel seguito, un modo di approcciare il calcio più estroso e fantasioso, meno vincolato al rigore del calcolo meticoloso tipico di meccanismi sistematici.
 
Ecco, allora, il primo livello di confronto antitetico sulla nostra scacchiera ideale: da un lato il calcolatore, il giocatore che punta su una strategia scientifica e immutabile fino a prova contraria, dall’altro, un profilo più simile a quello di un umanista, un cultore dell’arte, un esteta che antepone l’edonismo al mero raggiungimento del fine.
Volendo poi proseguire con le ripercussioni in ambito prettamente tecnico-tattico, il dualismo tra il calcolatore e l’esteta prende vita sulla “verde scacchiera” mediante l’esaltazione di schemi di gioco che costituiscono lo strumento tramite il quale ciascuno dei nostri protagonisti intende surclassare il rispettivo avversario. Ed è qui che si apre un altro terreno di confronto, un’altra partita nella partita, uno scontro ideologico tra dottrine calcistiche: il 3-5-2 di Conte contro il 4-3-1-2 di Giampaolo. Per certi versi, il contrasto che scaturisce da questo accostamento risulta essere generazionale. Da un lato, l’espressione del pragmatismo tipica di un modo di intendere il calcio dal sapore più moderno, un'evoluzione dello storico "catenaccio": il 3-5-2 è uno schema in cui la componente fisica è in qualche modo fondamentale, il terzetto difensivo deve compiere un’ingente mole di lavoro per sopperire alla minoranza numerica, sacrificio volto a rendere nutrito il pacchetto in mezzo al campo, in cui la densità e la compattezza sono la parola d’ordine per costituire un frangiflutti invalicabile e favorire le incursioni offensive di esterni veloci e prestanti, al contempo utili in fase di ripiegamento come ausilio alla manovra difensiva.
Dall’altro, il 4-3-1-2, un modulo di matrice più classica, mutuato dal tradizionale 4-4-2, che si impernia sulla stabilità di una retroguardia a quattro e si affida all’estro dei propri uomini di qualità a centrocampo, primo fra tutti il cruciale ruolo del fantasista, il raccordo tra il centrocampo e la coppia d’attacco, per imbastire manovre offensive fondate sulla ricerca della giocata, sull’imprevedibilità del tocco che solo elevati profili tecnici sanno produrre. L’obiettivo è quello di tessere a centrocampo la trama di suggerimenti ed imbeccate ideali per cogliere di sorpresa i blocchi difensivi più insuperabili, proponendo uno stile di gioco che sia delizia per l’occhio, in cui la precisione delle famose sciabolate o il ritmo incalzante scandito dalla successione dei filtranti, veicolino un’idea di calcio basata sulla qualità.
 
Entro i dovuti limiti, armati di una buona dose di elasticità e al netto delle fisiologiche eccezioni di cui è colma la storia del calcio, si potrebbe interpretare il confronto tra 3-5-2 e 4-3-1-2 come prototipo di uno scontro epocale tra una scuola di pensiero più moderna, la prima, ed una più tradizionale, la seconda, che concorrono per il predomino sul campo. Calzante, a questo proposito, è un ulteriore parallelismo scacchistico: negli scacchi, l’equilibrio della partita si gioca tutto sul controllo delle caselle centrali, supremazia che può essere perseguita mediante un’azione diretta di invasione del centro (teoria classica), o tramite delle azioni laterali di controllo a distanza (teoria moderna). Similmente, procedendo a costruire l’analogia tra caselle centrali e centrocampo, teoria moderna e 3-5-2, teorica classica e 4-3-1-2, si può davvero immaginare di sovrapporre scacchiera e campo da gioco, assumendo che il ruolo degli esterni nel 3-5-2 sia l’equivalente strategico dello smistamento laterale del gioco tipico della teoria moderna.
 
Giampaolo contro Conte, Milan contro Inter, l’esteta contro il calcolatore, il 4-3-1-2 contro il 3-5-2: mai come quest’anno, il derby della Madonnina verrà disputato su altrettanti livelli di gioco, così come sulla scacchiera bianchi e neri battagliano non solo per il conseguimento del punto della vittoria, ma per l’affermazione e le supremazia di un intero movimento, una dottrina la cui eredità è affidata alle capacità di un gruppo scelto di elementi cui spetta la gravosa responsabilità di perpetuare l’incondizionata autenticità di un credo, da validare, partita dopo partita, mediante l’annichilimento delle ideologie avverse.