Il tifoso di calcio si sa, è prima di tutto un sognatore appassionato, colui che antepone il sentimento per la propria squadra, la devozione alla fede calcistica, a qualsiasi forma di interesse materialistico in gioco. E così anche nei momenti più bui e nei periodi di difficoltà del team, che in un passato non troppo lontano era stato in grado di produrre quell'estasi e quella palpitazione dell'anima tipiche di chi si accinge ad agguantare un sogno, non volta mai le spalle, come l'innamorato fedele con la sposa.

Piuttosto, si sente pervadere da una sorta di emozione latente, un'irrazionale pulsione caratterizzata da una sfumatura di dolore e di tristezza, l'inconscia convinzione di anelare ad "un ritorno a casa": è proprio questa l'etimologia del termine "Nostalgia", composto di nostos e algos, rispettivamente "ritorno al paese" e "dolore" nella traduzione letterale dal greco. In filosofia, la nostalgia è quella condizione di inquietudine tipica della consapevolezza di imperfezione e finitudine, uno stato che l'inconscio auspica possa essere transitorio, così da aspirare romanticamente al ritorno a casa, quell'infinito che altro non è se non una precedente condizione di benessere e felicità.

Il tifoso che soffre per la propria squadra è un inguaribile nostalgico dei tempi che furono, la cui passione è profonda e radicata a tal punto da indurlo a coltivare indefinitamente la speranza che possa esserci un tempo del ritorno, indipendentemente dalla negatività del presente. Tale risulta essere la condizione attuale del tifoso rossonero, costretto dalle circostanze a convivere con un senso di nostalgia profonda nei confronti di un passato neanche troppo lontano, ma drammaticamente irraggiungibile.

Interrogarsi sulle motivazioni alla base di quella che a tutti gli effetti potrebbe essere definita come una condizione di mediocrità, se paragonata ai fasti di un tempo, è attività lecita e dolorosa: quel che è certo è che l'impossibilità di poter fare affidamento, negli ultimi anni, su una dirigenza capace, su un gruppo qualificato di esperti del settore, ha prodotto mancanza di programmazione e sperpero di risorse, soprattutto in sede di mercato. Una serie infinita di scelte errate che, in special modo in attacco, ha concorso a generare una sorta di "maledizione", quel sortilegio ancora da sfatare legato al fallimento degli attaccanti con la maglia numero Nove dopo l'era Pippo Inzaghi.
Matri, Destro, Torres, l'ultimo Higuain, per citarne alcuni, tutte vittime illustri del misterioso maleficio, ma, probabilmente, anche scelte sbagliate effettuate al momento sbagliato. Sarebbe riduttivo, tuttavia, non considerare anche un altro aspetto dalla vicenda: l'assenza di guide tecniche in grado di fornire un contesto tatticamente adeguato. In effetti, l'era post Pippo Inzaghi, quella cioè nella quale la maledizione del Nove ha imperversato e continuato a mietere vittime, è stata anche caratterizzata da avvicendamenti continui in panchina, nomi probabilmente inadeguati all'onere gestionale cui erano chiamati ad adempiere, che hanno generato esclusivamente confusione tattica. Uno dei leitmotiv di questi frangenti a dir poco turbolenti, è stata la costante riproposizione di moduli con una sola punta, in particolare nella variante del 4-3-3.

Da nostalgici di un'espressione di gioco spumeggiante in avanti, caratterizzata dall'invasione dell'area avversaria da operarsi con il maggior numero possibile di elementi, non si può fare a meno di rimpiangere l'era, neanche troppo distante, in cui si privilegiava l'attacco a due punte. E così sovvengono alla mente tandem d'attacco micidiali, come Crespo-Chiesa, Vieri-Salas, Ronaldo-Zamorano, Montella-Delvecchio, Bierhoff-Weah, Del Piero-Trezeguet, ma molti altri potrebbero essere menzionati, reparti che hanno contribuito a creare l'era dorata del calcio italiano degli anni Novanta/Duemila. Il numero Nove, in generale da intendersi come interprete di quel tipo di ruolo, non necessariamente con indosso la maglia del Nove, deve essere tassativamente affiancato e coadiuvato. La presenza di due uomini di riferimento in area previene il rischio di una sterilizzazione della manovra offensiva tipica del 4-3-3, soprattutto di un 4-3-3 in cui non si possa disporre di interpreti eccelsi, come è stato nei recenti trascorsi del Milan. Di conseguenza, più che di maledizione del Nove, sotto questo aspetto si potrebbe parafrasare il concetto conferendo una sfumatura differente e parlare di "solitudine dei numeri Nove", una solitudine che è sembrata condizionare anche l'ultimo Piatek del campionato appena concluso.

Molteplici cause dunque, tutte fondamentali al processo di demistificazione della maledizione del Nove: dirigenti poco all'altezza in determinati frangenti storici, errata ripartizione e utilizzo poco accorto dei fondi sul mercato, guide tecniche inadeguate, confusione tattica e discutibile interpretazione ed impiego degli stili di gioco, primo fra tutti il 4-3-3.

In relazione al presente, una cortina di scetticismo generale è sembrata prendere il sopravvento nella valutazione dell'operato di Piatek, soprattutto in funzione delle non esaltanti prove fornite per tutto il corso della preparazione estiva, nonostante il cambiamento di modulo realizzato da Giampaolo abbia finalmente garantito al polacco la possibilità di contare su una spalla in attacco. Tuttavia, indipendentemente dall'adeguamento del modulo, resta il fatto che l'assistenza a Piatek non sia stata praticamente mai fornita: il processo di adattamento di Suso al rango di trequartista si è rivelato un fenomeno lento e di non assicurato successo, in special modo per l'inclinazione dello spagnolo a spaziare su tutto il fronte d'attacco, un decentramento innaturale per un interprete del ruolo del fantasista, che come conseguenza non produce altro se non un impoverimento dei rifornimenti in verticale per la prima punta. Che dire poi del partner d'attacco di Piatek? Per ora non pervenuto, probabilmente anche assente in rosa.

Una soluzione ottimale sarebbe quella di fornire al polacco un'assistenza in attacco degna di questo nome, qualcuno che possa eccellere nel ruolo di seconda punta, sebbene l'attuale frangente di calciomercato non sia esattamente dei più propizi per condurre un'operazione del genere. Un Fair-Play finanziario sicuramente rivedibile, la crescita quasi fuori controllo dei prezzi di mercato, l'egemonia dei procuratori, stanno contribuendo a generare una sorta di immobilismo del mercato, un vero e proprio non-mercato, una guerra di posizione. Nonostante tutto, il Milan sembrerebbe avere la forza di assestare ancora un colpo, quantificabile in circa 40 milioni di euro: questo l'ammontare dell'offerta per Correa dell'Atletico Madrid.

Scorrendo la lista di cui sopra dei fattori che hanno concorso a creare lo spettro della maledizione del Nove, prendere Correa sembrerebbe essere a tutti gli effetti una ciclica riproposizione di uno spartito già noto: un investimento sbagliato per un interprete non adatto, da effettuare, probabilmente, in funzione di scelte non autonome, ad opera di una società condizionata dall'egemonia di Mendes

Nell'immaginario del tifoso, una candidatura accettabile, che rievocherebbe i fasti di un tempo e si avvicinerebbe, in termini di blasone, a nomi illustri del recente passato, sarebbe sicuramente quella di Paulo Dybala, esubero di lusso della Juve. Questo sarebbe stato un investimento mirato, probabilmente concretizzabile al netto di una differente distribuzione dei fondi finora investiti sul mercato in entrata e di quelli ancora disponibili dirottati invece sull'obiettivo Correa. Dybala avrebbe potuto essere l'investimento oculato da parte di una dirigenza accorta e libera di muoversi in piena autonomia, il perfetto interprete del ruolo di seconda punta da affiancare a Piatek. L'alchimia sarebbe stata perfetta, essendo l'uno il negativo dell'altro: complementarietà piena tra chi predilige lo stanziamento in area, da rapace, alla ricerca del goal, e chi invece eccelle nel movimento con la palla sul fronte d'attacco ed è in grado di produrre giocate ed assistenza di qualità, non disdegnando la propensione alla segnatura.

La coppia Piatek-Dybala pare relegata a restare il sogno di una notte di mezza estate, un piacevole intermezzo frutto di uno spasmo nostalgico verso la felicità che fu, posto dal subconscio speranzoso di concretizzare "il ritorno a casa" per intervallare gli incubi di una notte traviata dalla maledizione.