La Bibbia ci racconta di come Davide, un giovanissimo pastore israelita, riuscì ad uccidere il gigantesco guerriero Golia armato di tutto punto e a decidere, vincendo quell’improbabile duello, le sorti del conflitto con l’esercito filisteo. Le armi sfruttate dal giovane ragazzo tremila anni fa nella valle di Elah per sconfiggere il più forte avversario, ancor prima della sua fionda e dei cinque sassi lisci che si era procurato, furono il suo coraggio, la sua astuzia e la strategia che porre in essere.

A leggere le previsioni della maggior parte di critici e opinionisti sportivi, la partita di Champions League, giocata martedì scorso al San Paolo, tra il Napoli e i campioni d’Europa in carica del Liverpool avrebbe dovuto assumere i contorni di quell’epico scontro tramandato nel corso dei secoli.
E’ vero che le analisi postume sono sempre le più semplici e che con il senno del poi è fin troppo facile inquadrare la realtà da un punto di vista più obiettivo, ma una più attenta lettura del recente passato avrebbe probabilmente consigliato una maggiore prudenza nella formulazione di pronostici troppo sbilanciati nel vedere penalizzata la squadra di casa.

Analizzando i precedenti del Napoli nella più importante competizione europea (contando anche gli incontri della vecchia Coppa dei Campioni) salta subito all’occhio che la compagine partenopea aveva perso in casa solo 3 volte su 22 incontri disputati (contro Besiktas, Real Madrid e Manchester City) riportando, nelle altre sfide, 13 vittorie e 6 pareggi.
Anche i precedenti negli scontri diretti con i Reds inducevano ad un pur cauto ottimismo. Il Liverpool non aveva mai vinto al San Paolo nelle due precedenti partite disputate e il totale delle gare tra le due squadre (amichevoli comprese) facevano registrare 3 vittorie inglesi, 2 azzurre e 1 pareggio.
Insomma, a Napoli scendevano in campo i campioni d’Europa in carica, il Liverpool era e resta sicuramente da annoverare tra le primissime formazioni a livello mondiale, ma dall’altra parte c’era una squadra per nulla disposta ad offrirsi come vittima sacrificale e, per tradizione, il San Paolo non era mai stato facile terra di conquista per nessuno.

Comincia la gara e il campo rende subito chiaro il concetto che sarebbe stata battaglia.
Il Liverpool dimostra di essere squadra dal più elevato tasso tecnico e dalla manovra più fluida ma il Napoli c'è, è compatto, arcigno, risponde colpo su colpo e vince duelli individuali impensabili. Una nota sorprendente, a tal riguardo, la offre Mario Rui. Il terzino sinistro del Napoli, troppo spesso bistrattato da feroci critiche che sono sempre andate oltre i suoi effettivi demeriti, sfodera una prestazione monumentale al cospetto di quel diavolo di Salah. Ne soffre la grande velocità ma non si fa intimorire, lo rincorre in ogni zona del campo, lo affronta a muso duro, quasi sempre lo anticipa e vince il contrasto nel takle. Una sola volta l’attaccante egiziano si rende pericoloso ma non è colpa del difensore portoghese col baffetto da moschettiere, è Manolas che decide di mettere a dura prova le coronarie del pubblico napoletano svirgolando clamorosamente un rinvio e mettendo la punta del Liverpool a tu per tu con l’estremo difensore azzurro. Per fortuna Meret salva la porta con una prodezza. Si sentirà parlare di questo ragazzo che ha 22 anni ma ne dimostra 30 per l’autorevolezza con la quale sta in campo. E il destino dei grandi portieri è evidenziato dalla capacità di fare una sola parata nel corso di una partita, ma quella parata risulta essere l’intervento che salva il risultato. Aspetto non di secondaria importanza: era il suo debutto in Champions.

E poi c’è Meertens, che per tutti è ormai “Ciro” e che si appresta a diventare il cannoniere di tutti i tempi nella storia del Napoli (è a soli 2 gol dal mito Maradona e a 8 da Marek Hamsik). Quando l’arbitro, a 10 minuti dalla fine, fischia il rigore che avrebbe portato in vantaggio gli azzurri (tiratina d’orecchi a qualche commentatore di Sky che, fuori onda, definisce “regalino” la decisione arbitrale: Callejon non fa certo i salti mortali per rimanere in piedi, ma il contatto c’è e il rigore, a norma di regolamento, è sacrosanto) il primo rigorista, Insigne, è già uscito dal campo. Ma il folletto belga va subito sul pallone, il suo sguardo ne rivela i pensieri: “io non ho paura, io sono Ciro”. Guarda negli occhi Adrian che, qualche minuto prima, gli aveva già negato la segnatura con una prodezza miracolosa e indirizza un tiro secco alla sua destra. Per poco il portiere inglese non compie il secondo miracolo, fortunatamente tocca soltanto il pallone ma non riesce a deviare la traiettoria della sfera che s’infila nell’angolo basso nel tripudio generale.

E poi c'è lo straripante Koulibaly, che però non fa molta notizia perchè è solo tornato ai suoi stratosferici normali livelli. Semmai la notizia era quando appariva sotto tono.

E poi c’è il bel Fernando che, avventandosi su un pallone vagante nell’area anglosassone, dimostra quanto conti l’esperienza in partite di questo tipo. Insacca, toglie ogni patema ai due minuti di recupero residui e poi corre verso la bandierina del corner baciando la sua nuova maglia e scatenando così la rabbia dei suoi ex tifosi juventini che reputano quel bacio un tradimento. Non se la prendano gli amici bianconeri, questi giovanotti sono ormai inclini agli innamoramenti facili, d’altra parte per un Higuain che arriva c’è un Llorente che torna e la vita è piena di continui contrappassi.

E poi ci sono tutti gli altri, nessuno escluso. Tutti hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo, tutti sono usciti stremati dal rettangolo verde per dimostrare che non sempre vincono i più forti ma che, spesso, chi parte in evidente svantaggio alla fine esce trionfante contro ogni previsione, perché è disposto a mettere in gioco qualcosa in più, è disposto a mettere in gioco il coraggio, l’abnegazione, il sacrificio, armi che possono abbattere qualsiasi gigante.

Jurgen Klopp, al termine della partita, ha dichiarato: “questo Napoli può vincere la Champions”. Gran furbacchione il tecnico tedesco che, dando valore all’avversario, legittima la sconfitta della sua squadra. Esaltiamo comunque il tono signorile e sportivo delle sue parole, non siamo molto abituati a chi rende merito ai suoi concorrenti.

Che se poi le sue parole trovassero un reale riscontro allora sì che ci troveremmo di fronte a un redivivo pastorello in una novella valle di Elah, stavolta vestito d’azzurro. Per il momento, però, si resti con i piedi ben saldati al terreno. Magari, parafrasando il titolo della più celebre commedia di William Shakespeare, lasciamoci cullare da un dolce “sogno di una notte di fine (mezza) estate” e se poi dovesse suonare la sveglia sarà stato comunque bello sognare.