"Papà, perché il giudice l'ha chiamata fuori? La pallina è caduta in campo". Correva l'anno 1971 e un giovanissimo Adriano Panatta batteva quella domenica Nicola Pietrangeli, che ormai si avviava sul viale del tramonto della sua carriera, nella finale dei campionati assoluti italiani di tennis. Il passaggio di testimone tra i due campioni italiani era già avvenuto l’anno precedente e la nuova affermazione di Adriano, nella competizione nazionale, confermava che una nuova stella era nata nel firmamento del tennis azzurro. Alla domanda di quel bambino, già rapito dalla passione per il calcio e che si apprestava quella domenica ad entusiasmarsi per quest’altro sport, papà mi spiegò che il corridoio faceva parte del rettangolo di gioco solo per gli incontri di doppio, nel singolare invece non valeva. Forse per motivi generazionali papà tifava per Pietrangeli, io invece per Panatta. Entrambi, però, eravamo molto tristi perché, nel frattempo, la voce di Enrico Ameri dalla radio annunciava la notizia che "El gringo" Clerici, a un minuto dalla fine, aveva nuovamente portato avanti la Fiorentina, dopo che Ripari aveva pareggiato l'iniziale vantaggio viola di Orlandini. Ironia della sorte, due anni dopo sia Clerici che Orlandini sarebbero passati al Napoli e sarebbero stati protagonisti nel successivo ruggente triennio sotto la guida di Luis Vinicio. Mentre giungevano le brutte notizie da Firenze, a un certo punto il giovane campione romano, sceso a rete dopo il suo servizio, si lanciò in tuffo e respinse con una spettacolare volèe un passante lungolinea di Pietrangeli. Esclamai meravigliato: "Mamma mia, papà hai visto che ha fatto?". Quel tuffo a rete non fu un gesto occasionale, sarebbe stato il marchio di fabbrica di Adriano durante tutta la sua carriera. Panatta poteva battere chiunque, lo sapeva benissimo Bjorn Borg, numero uno al mondo di quegli anni, che quando se lo ritrovava di fronte non era proprio felicissimo.

Adriano raggiunse l’apice della sua carriera nel 1976, piazzandosi alla 4^ posizione nella classifica ATP e trionfando, nello stesso anno, agli Internazionali di Roma e al Roland Garros. Quell'anno, insieme agli altri tre moschettieri azzurri, Corrado Barazzuti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli, Adriano portò in Italia per la prima volta anche la Coppa Davis. Ad oggi l’impresa di conquistare la mitica "insalatiera" d'argento rimane ancora isolata. Eppure qualcuno non voleva farcela giocare quella finale perché il nostro avversario era il Cile e bisognava recarsi a Santiago dove, qualche anno prima, il Generale Pinochet aveva rovesciato, con un colpo di stato militare, il governo socialista di Salvador Allende. Fortunatamente l'ipocrisia di certa politica che, già da allora, chiudeva gli occhi sulle guerre e sui regimi vicini alle proprie ideologie e pretendeva dallo sport risposte che essa non era capace di offrire, non riuscì ad avere il sopravvento. Si giocò e vincemmo noi. Adriano Panatta avrebbe potuto vincere molto di più di quello che ha vinto. Tecnicamente aveva pochi rivali. Ad oggi, comunque, resta il più grande talento tennistico espresso dalla nostra nazione. Dopo di lui anni di buio, durante i quali abbiamo atteso inutilmente che un nostro atleta potesse entrare stabilmente nella top-ten mondiale. Abbiamo sperato, prima in Canè e Nargiso, poi in Gaudenzi, infine in Fognini.

Quest'anno finalmente arrivano due belle notizie. La prima riguarda Matteo Berrettini, un ventitreenne ragazzo romano che, dopo 40 anni, è giunto a giocare le ATP Finals, alle quali partecipano i primi 8 giocatori al mondo, grazie ai risultati di un’annata straordinaria, nella quale ha raggiunto i quarti di finale a Wimbledon e la semifinale agli US Open. Matteo Berrettini sull'erba londinese è stato tradito dall'emozione e in 3 set ha rimediato soli 5 games contro quel mostro sacro di Federer. Non ha drammatizzato, nel dare la mano all'avversario al termine dell’incontro gli ha detto "grazie Roger, quanto ti devo per la lezione?" ed ha ricominciato a lavorare ed allenarsi. A New York invece, contro Nadal, nel primo set ha dimostrato di poter competere, andando sul 4-0 al tie-break e non sfruttando poi 2 set-point. Rimontato da quel diavolo di spagnolo e perso il set di apertura, ha retto anche nel secondo parziale ceduto per 6-4 per poi crollare nel terzo e conclusivo set. Incassati i complimenti del numero 2 del mondo che, al termine della gara, ha dichiarato "diventerà uno dei tennisti più forti", ha ripreso a lavorare e a scalare la classifica mondiale, riuscendo a centrare l'inaspettato traguardo di qualificarsi per le finali di Londra. Nel match d’esordio Nole Djokovich si è dimostrato troppo forte ed ha annichilito con un perentorio 6-2 / 6-1 il nostro esordiente campione. Nel secondo match è andata in onda la rivincita contro Roger Federer. Questa volta non è stata una dèbacle come a Wimbledon, anche perché il campione svizzero non era nella sua migliore giornata. Ma Roger ha avuto il merito di giocare alla grande i punti decisivi e questo fa la differenza tra i fuoriclasse e i campioni. Ora Matteo è atteso dall’austriaco Thiem, numero 5 del mondo, già qualificato alle semifinali avendo battuto sia Federer che Djokovic. Al di là di come terminerà questa terza partita diciamo grazie a Matteo per averci fatto rivivere emozioni ormai dimenticate e salutiamo quest'avventura con l'auspicio che costituisca un inizio e non un traguardo.

La seconda bella notizia ci parla di un ragazzino di 18 anni. Si chiama Jannik Sinner. Nativo della provincia di Bolzano è il più giovane tennista italiano di sempre ad aver vinto un torneo Challenger e ad essere entrato nella top 100 ATP. Di lui l'allenatore Riccardo Piatti dice: "E' un fenomeno, è il più forte giocatore che abbia mai allenato". E visto che Piatti ha allenato anche Djokovic, la sua affermazione fa un rumore pazzesco. Allora ci siamo davvero? E' di nuovo luce sul nostro tennis? Forza ragazzi, siamo stanchi di doverci dividere tra tifosi di Federer, di Djokovic o di Nadal (Roger tutta la vita). Vogliamo nuovamente esaltarci per le imprese di un campione italiano. Senza contare che mio nipote sta crescendo e tra un po' mi piacerebbe potergli spiegare: "Il corridoio vale solo nel doppio".