La campagna acquisti estiva condotta dalla società del Napoli sembrava consolidare quel ruolo di principale antagonista allo strapotere bianconero che la squadra azzurra aveva già rivestito nelle passate stagioni.

La compagine partenopea si apprestava così a ornare il petto e il crime per il dì di festa del nuovo campionato, nella rinnovata speranza di vivere un’altra annata da protagonista che potesse culminare questa volta nella conquista di quel titolo che manca ormai dal 1990.

La sconfitta nella seconda giornata di campionato proprio contro la Juventus, arrivata in seguito ad una sfortunata autorete di Koulibaly al minuto 93° che aveva vanificato una straordinaria rimonta dal 3-0 al 3-3, aveva solo intiepidito le precitate aspirazioni, soprattutto perché, subito dopo, era arrivata la straordinaria affermazione sui campioni d’Europa del Liverpool nella prima giornata del girone di qualificazione di Champions League.

Da quel momento, però, sembra siano calate le tenebre e tristezza e noia hanno cominciato a recar l’ore delle domeniche azzurre proprio come testimoniava il “giovane favoloso” descrivendo il tedio che ammantava il borgo natìo. La speme e la gioia che contraddistingueva l’attesa della realizzazione del sogno sembrano così essersi già dissolte al cospetto della realtà, quando siamo solo alla 7^ giornata del girone d’andata.

E la realtà ci parla di un Napoli malinconicamente al 4° posto, staccato già di 6 punti dalla Juventus, 5 dall’Inter e 3 perfino dall’Atalanta.
Ma non è tanto il distacco dalle prime che deve preoccupare, perché il campionato è ancora ai suoi primi vagiti e il tempo per recuperare il terreno perduto appare tuttora consistente. Quello che inquieta notevolmente è l’involuzione che, nell’ultimo periodo, la squadra ha evidenziato sotto tutti i punti di vista e che, soprattutto nella partita di ieri contro il Torino, ha fatto scattare più di un campanello d’allarme.

Quella apparsa ieri al Comunale è una squadra fiacca, svogliata, priva di furore agonistico, con parecchi giocatori fuori ruolo e con una condizione fisica deficitaria. Soprattutto è una squadra che sembra rassegnata e con poche motivazioni.

La conferma si è avuta al minuto 81° della gara col Toro. Goulham viene vistosamente strattonato da Izzo in area granata. “Rigore” grido dalla mia poltrona. In effetti il penalty non rilevato dall’arbitro Doveri e non segnalato dal Var sembra solare anche rivisto con l’ausilio delle immagini televisive. Eppure nessun giocatore azzurro ha protestato. Questo, per chi ha giocato a pallone, significa una sola cosa: rassegnazione appunto.

Il Napoli di ieri conferisce infatti proprio la sensazione di una squadra rassegnata al suo destino di chi vorrebbe fare ma non fa, di chi vorrebbe osare ma non osa, una squadra priva di grinta e di cattiveria agonistica, che sono poi quelle carenze caratteriali che ti fanno sbagliare gol che sembrano già fatti.

Come sia stata possibile una metamorfosi di questo tipo in un mese (dalla partita col Liverpool ad oggi) è uno dei misteri che rende affascinante il gioco del calcio. Fatto sta che occorre immediatamente un’inversione di tendenza che riconceda a questa squadra lo spirito giusto che ne esalti le indiscutibili qualità tecniche.

E questo lavoro tocca soprattutto a chi è a capo della conduzione tecnica, quel Carlo Ancelotti che oggi sembra attanagliato tra un passato glorioso e un presente nel quale non riesce a riconoscersi, un Dorian Gray dei giorni nostri che ha riposto nel suo ritratto il segreto della sua anima e che, spero, non voglia già riporlo in un vecchio e polveroso studio al riparo dal raffronto con la gloria passata.

Forza mister, il tempo per distruggere il quadro dell’eterna giovinezza è ancora lontano.

Oppure no?