I poeti direbbero che i ricordi sono come perenni fiori rampicanti che continuano a profumarci addosso nel tempo. Ci riportano a momenti rimasti scolpiti nella memoria come fermo-immagini, diapositive indelebili che vanno a comporre il puzzle della nostra vita.

Una di queste fotografie mi riporta lontano, alle mie prime pulsioni di tifoso. Avevo 7 anni quando varcai per la prima volta i cancelli dello stadio San Paolo. Il mio papà teneva in una mano una borsa nella quale era riposta la colazione preparata dalla mamma, nell’altra stringeva la mia piccola mano. E’ incredibile come, ancora oggi, ricordi nitidamente l’emozione che provai allorquando il prato verde si aprì alla mia vista. Allora non c’erano sediolini sugli spalti cosicchè, quando lo speaker cominciò ad annunciare le formazioni delle squadre, tutti si alzarono in piedi per seguire la partita e mio padre fu costretto a tenermi in braccio per l’intera durata della gara. La mia esperienza di piccolo supporter venne inaugurata da una sconfitta. Era la 2^ giornata del campionato 1969-70 e la Fiorentina, che giocava con lo scudetto sul petto, passò con un gol di Maraschi proprio sotto la nostra curva. Quell’anno il campionato lo avrebbe vinto il Cagliari di Gigi Riva. Altri tempi!

Quell’esordio non proprio fortunato non impedì al mio giovane cuore di battere per tutti i 90 minuti e quando mio padre mi chiese se mi fosse piaciuto lo spettacolo la mia risposta fu: “quando ci torniamo la prossima volta?” o qualcosa del genere. Insomma, morale della favola, da quella volta il mio papà allo stadio non ci andò più da solo. Dovette attrezzarsi, però, con una sediolina pieghevole, una di quelle a doghe di legno che un tempo si portavano in spiaggia.

Quando si giocava in trasferta la partita veniva ascoltata alla radio. Le gare allora iniziavano tutte in contemporanea al meridiano fisso delle ore 14,30 della domenica (in primavera, con le giornate che si allungavano, l’orario veniva differito prima alle 15 e poi alle 15,30 e alle 16,00). L’appuntamento radiofonico con “Tutto il calcio minuto per minuto” partiva, però, solo dall’inizio del secondo tempo. Prima di quel momento non esisteva nessuna possibilità di avere qualche ragguaglio sulle sorti della tua squadra del cuore. Non restava altro che aspettare, in trepidante attesa, le voci storiche di Enrico Ameri, Sandro Ciotti e altri che finalmente ti comunicavano l’esito dei primi 45 minuti.

Chissà come sarà stata la sforbiciata con cui Altafini ha indirizzato la palla nell’angolo? E La serpentina di Mazzola che si è liberato di tre avversari prima di concludere in rete? E l’assist smarcante con cui Rivera ha lanciato Prati a tu per tu col portiere? E il volo di Albertosi a togliere la palla che si stava insaccando proprio sotto la traversa? Dovevi affidarti alla fantasia perché le prime immagini televisive arrivavano solo alle 18,30 con “Novantesimo minuto”. Dallo studio conducevano Maurizio Barendson e Paolo Valeri che si collegavano con gli inviati dai vari campi. Dagli studi delle sedi locali i pionieristici Bubba da Genova, Carino da Ascoli, Castellotti da Torino, Necco da Napoli offrivano un breve commento della partita e, finalmente, una sintesi di due-tre minuti con le azioni più importanti che poi avresti potuto rivedere solo dopo le 22,00 alla “Domenica sportiva”.

Alle 19,00 ti facevano però la grazia di farti vedere la telecronaca della partita più importante della giornata, solo il secondo tempo però.

Quanta acqua è passata sotto i ponti della vita e quanto è cambiato il pallone da allora! Il calcio spezzatino di oggi permette di seguire ogni momento di tutte le partite in calendario, eppure quanta nostalgia per quei tempi, per quelle magliette senza sponsor, per quei numeri dall’1 all’11 sulla schiena che se avevi il 2 eri il terzino destro, l’8 il regista, il 9 il centravanti e così via.

A volte è sorprendente accorgersi come si abbia più memoria di partite giocate 30 anni fa che di quelle disputate in un più recente passato, è come se nell’hard disk del nostro cervello quei momenti lontani fossero incastonati come pietre preziose.

Jean Jacques Rousseau teorizzava la svalutazione del progresso, ritenendolo un processo di corruzione della nostra anima che procedeva di pari passo con l’evoluzione della scienza e della tecnologia.

Non è che avesse ragione?