Zdravko Kuzmanović è un ex calciatore serbo, di ruolo centrocampista. Ex fiorentina ma soprattutto ex Inter, ha collezionato la bellezza di 128 presenze nel massimo campionato italiano condite da tre goal regalati al pubblico del Franchi.

Zdravo Kuzmanovic è anche altro, però. Per chi non se lo ricordasse, come da mio banner proprio qui su Calciomercato, è stato uno dei calciatori più mediocri mai visti con la maglia del biscione, né carne né pesce, un cristiano alto 186 con dei piedi mezzi quadrati e un carisma mezzo inesistente.
Tutto mezzo, per l’appunto. Perché Kuzmanovic è così dimenticabile da non essere neanche inseribile in quella cerchia di bidoni “notabili” alla Gresko, alla Wallace o alla Vampeta, va semplicemente dimenticato in quanto mediocre, in quanto giocatore non da inter.
Il problema è che io non l’ho dimenticato e anzi, al povero e mediocre Zdravko, simbolo di quel mondo di persone che nel proprio non sono né terribili né capaci, di quei 16 che arrivano al 18 nel giorno buono, ho dato un compito. Ho deciso di utilizzarlo come mio personale rappresentante di tutto l’odio sportivo che ho provato per la non competitività della mia beneamata negli anni 2010, anni in cui andare a scuola da interista significava dover vedere tutti i compagni juventini gioire puntualmente ogni singolo giorno, al di là di Cardiff o di Berlino, uniche glorie del decennio passato (pensate voi).
Kuz è un richiamo agli Alvarez, ai Guarin, ai Nagatomo, ai Ranocchia, agli Schelotto, ai Murillo, alle campagne acquisti dove l’arrivo di Podolski doveva essere il colpo risolutivo, ai De Boer e gli Stramaccioni ma soprattutto è un richiamo alla resilienza di una tifoseria che non ha mai mollato e di un ragazzino, io, che non ha mai lasciato andare la propria fede nemmeno dopo quella maledetta partita di Beer Sheva.

Vi starete chiedendo dove voglia arrivare, presto lo capirete.

Kuzmanovic, anche detto l’equilibratore (col senno di poi, soprannome perfetto per un mediocre), non è però solo un simbolo di amore per la maglia, è anche un simbolo di odio per un’altra maglia, quella bianconera. Quell’odio sportivo totale, che trova le sue radici in Calciopoli, di cui da piccolo avevo giusto sentito parlare pur lasciando forte condizionamento psicologico, e che si materializza nella serie di derby d’Italia costantemente persi, nei 9 scudetti vinti in faccia, nei comportamenti da pavoni di Bonucci e Cuadrado, nei Pjanic e Higuain rubati da piazze d’amore come Roma e Napoli a suon di milioni, in un gioco difensivista che voleva ribaltare le idee di Guardiola e nell’acquisto dell’ultimo degli egomaniaci portoghesi. Una squadra, quella juventina, che divide da sempre ma che, come ogni para-regime, pensava di poter comandare per sempre e di essere indistruttibile.

Ed eccoci qua.
All’11 ottobre 2023 posso dire che tutto ciò che per anni ho sperato capitasse alla squadra torinese è capitato. Posso dire che quell’odio sportivo è stato finalmente espiato e riesco, ora, a vedere, oltre a quella coltre di fumo accecante. Sento, però, l’arrivo di una nuova sensazione, molto più intensa e meno alienante: l’empatia.

Negli ultimi tre anni il tifoso juventino ha visto l’addio di leader come Chiellini e Buffon.
Negli ultimi tre anni il tifoso juventino non ha vinto nessun trofeo rilevante.
Negli ultimi tre anni il tifoso juventino è stato preso in giro, manipolato, deriso, messo da parte, consumato vivo dalla propria società e dai media. Si ritrova, al momento, con un allenatore tra i peggiori d’Italia, un uomo semplicemente avulso dalla realtà e che insegue, a cavallo, ideologie (non idee) di calcio dell’altro secolo.
Una persona, Allegri, in grado di distruggere una tifoseria tra chi è accecato da anni di successi credendo che il ciclo possa continuare per grazia ricevuta e chi vuole vedere cosa sta al di là della siepe.
Sopra ad Allegri il nulla, non più gli storici Agnelli bensì un Elkann interessato più a sbarazzarsi di un peso economico che a dare lustro alla costruzione del bisnonno Edoardo.
Infine, la rosa. Un’accozzaglia di giocatori senza arte né parte messi assieme con la sola idea che “the more the better” ancorati alle lune di Chiesa e alla leadership di un capitano di lungo corso come Danilo, non a caso gli unici due giocatori che sarebbero titolari in una delle vere Juve degli ultimi 30 anni. Tutto esattamente come si ritrovò ad essere la mia Inter negli anni post triplete.

Non fosse che l’empatia, in questo caso, nasconde anche un’altra sensazione penetrante: la pietà.
Possiamo definire l’Inter del circa 2015 come una maceria, possiamo dire che la rosa era quanto di più agghiacciande assemblato, possiamo dire che Thohir sia definibile come uno dei peggiori presidenti della storia del calcio, non possiamo però dire che i problemi dell’inter siano andati all’extra campo, o almeno, non siano andati a quell’extra campo che tocca il cuore dei tifosi.

La Juventus si ritrova invece ad affogare nel quinto scandalo in pochi mesi, prima la penalizzazione con conseguente squalifica dalle coppe europee, poi Cristiano Ronaldo che bussa alle porte italiane richiedendo qualche soldo in più, per passare da Bonucci e le sue accuse di mobbing, Pogba e il doping e ora, forse la questione più tragica tra tutte, le scommesse di Nicolino Fagioli.
Nicolò ha un anno in meno di me; pare, da ciò che risulta, che sia consapevole del problema di dipendenza in cui si trova, e già questo è un buon passo, così come è ovvio che, di qualsiasi colore sarà questa sentenza, la sua carriera rischia già di essere macchiata per sempre.

Fatto sta che, ad ogni pausa nazionali, c’è un problema, escono nuove carte, nuove questioni e che il tifoso juventino, già martoriato sul campo, ormai è bandito alla stregua di un fuorilegge, soprattutto in terra estera.
Sono, però, questi i momenti in cui si deve stare vicini alla squadra, e se non alla squadra, al logo o al santino di Del Piero nel portafoglio, perché la fede non muore mai. Sono questi i giorni in cui guardare alla bacheca per ricordarsi chi si tifa, sono questi i giorni in cui anche una vittoria ad Empoli può avere il sapore dei più belli dei Derby. Sono questi i giorni in cui tifare, amare ed esultare.

Al ragazzino juventino che magari un giorno leggerà queste righe, trova anche tu un giocatore in cui incanalare tutto l’odio o la tristezza che provi in questo momento, chissà che un giorno non sia tutto solo un brutto ricordo.

P.S.: Consiglio un nominativo, Locatelli mi sembra un ottimo nuovo Kuzmanovic.