La scommessa è un'arte nobile. La sua essenza si raffigura nella più antica delle regole del poker: non vince chi ha la mano migliore, vince chi riesce di volta in volta a far credere e non credere di avere e non avere una determinata mano. Ritrovarsi al tavolo dei potenti e non avere il coraggio di andare fino in fondo, di puntare forte sulle proprie carte e sulla propria idea di gioco è stato il più classico degli errori da principianti. Ed è per questo che nel poker non esistono outsiders: 9 volte su 10 vincono sempre gli stessi. L'estate del 2014 il nome di quel ragazzo apparentemente semisconosciuto rimbalzò su tutti i notiziari sportivi, ogni testata giornalistica spagnola prese una forte piega di sorpresa, con connotazioni d'incredulità. La Juventus venne considerata un'autentica banda di pazzi, poiché trattò Alvaro Morata come un top player senza realmente esserlo. Non c'era la fila per portare una valigetta da 20 milioni di euro nelle casse del Real Madrid due estati fa. Un certo grado di scetticismo serpeggiava anche tra i tifosi bianconeri. Fattori inutili da negare. Quell'intuizione di mercato fu tutta del duo Marotta-Paratici, l'ennesima di una gestione più che positiva. Tuttavia, scegliere di piegarsi ad una clausola di recompra - spalmata per altro su più stagioni - oggi più che mai è l'emblema della netta ed innegabile debolezza societaria della Juventus. Sia in sede di trattativa, sia nella sessione di mercato della scorsa estate: dopo aver letteralmente trascinato i bianconeri in finale di Champions League, a nessuno in Corso Galileo Ferraris è venuto in mente di andare a bussare alla porta dei Blancos per discutere seriamente un ritocco all'affare o addirittura l'eliminazione della clausola. Ed il margine per trattare ci sarebbe stato senza alcun dubbio, proprio in considerazione del lavoro svolto dalla società torinese nel far giocare e nel dare spazio ed esperienza ad un ragazzo che, altrove, probabilmente non sarebbe mai maturato con gli stessi tempi garantiti alla Juventus in queste due stagioni. Decisamente irrisoria per le casse bianconere la plusvalenza in caso di recompra da parte del Real Madrid, sia in prima battuta che in seconda. Tenendo presente che l'ingaggio al calciatore è stato pagato interamente da Andrea Agnelli, ciò che rientrerà a bilancio nonostante l'eccezionale lavoro di valorizzazione della risorsa sarà equiparabile ad una bella pacca sulla spalla. Finalmente, senza nasconderci dietro un dito, è giunto il momento di dirsi Le Cose Come Stanno: in questa analisi bisogna necessariamente accantonare sia la volontà del calciatore, sia quello che Alvaro Morata è riuscito a far vincere a questa Juventus, rimettendo alla società ogni responsabilità del caso. Non si può pretendere da un ragazzo di 23 anni di rinnegare la propria terra e il Real Madrid, la propria squadra del cuore. Non si può ritenere Alvaro Morata l'unico ed il solo artefice di questi due anni di successi in Italia, poiché il collettivo è stato più forte di ciascun singolo e, in alcun modo, la società bianconera può ritenersi appagata o soddisfatta da questa operazione di recompra in funzione dei risultati conseguiti grazie a Morata. Con il cartellino interamente di proprietà della Juventus sarebbe stato possibile trattenerlo per continuare a sfruttarne le doti tecniche e atletiche. In alternativa, da un'eventuale vendita si sarebbe prospettata una somma in entrata incalcolabile. I due Scudetti, le due Coppe Italia e la Supercoppa Italiana non devono - e non possono - bastare. Aver accettato tutte le condizioni esposte dal club madrileno e non essere mai stata in grado di alzare la posta, avanzando un'offerta considerevole né lo scorso anno né in questi mesi, è stata una non-scelta, una chiara ed evidente paura di osare da parte della società Juventus, primissima in Italia e - a detta dei dirigenti - pronta a tornare grande anche in Europa visto l'appeal ritrovato. Tutta questa apparente convinzione visto il pesantissimo immobilismo nelle strategie per trattenere uno dei pezzi più pregiati non può esserci né in questo né in alcun universo parallelo: il Real Madrid ha letteralmente preso per il bavero e strapazzato la dirigenza bianconera, dall'inizio alla fine. Ha mandato una mezza promessa a crescere in Italia, si riprende oggi un campione affermato con la possibilità di rivenderlo a più del triplo. Non solo: se il calciatore si fosse rivelato un flop, si sarebbe comunque assicurata i 20 milioni iniziali, mentre per la Juventus si sarebbe profilato un calciatore ormai svalutato e non più rivendibile, se non realizzando una perdita economica. Le trattative si fanno e si concretizzano tra due parti, se oggi tutto questo è realtà è per un demerito societario che non deve passare assolutamente in secondo piano. Potremmo convincerci che, alla fin fine, sarebbe comunque andata così. Ma per ambizione, per blasone e per quello che i dirigenti della Juventus pensano di loro stessi e della propria società, quest'operazione rappresenta uno storico ed indelebile segno di debolezza. Certe partite, specialmente quando credi di avere la mano giusta, vanno giocate con fiducia e con una mentalità superiore. Altrimenti, rischi di perdere anche con una coppia d'assi. MC