L'alterco di un'intera esistenza, la controversia irrisolvibile in cui l'oggettività si defila sempre, prende posto al tavolo degli spettatori insieme alla razionalità e alla coerenza, in penombra; una birra a testa e tante buone ragioni per astenersi da quella vecchia discussione, senza tempo e soprattutto senza soluzione.
Eppure si finisce sempre per ricascarci, per imboccare quella strada che sappiamo essere senza uscita, ostinatamente.
Perché un uscita c'è, a pensarci bene ce ne sono addirittura due. Se è una questione di bravura, allora il gioco trova la sua logica: alla fine vince il migliore. Se invece si sposa la linea dalla fatalità, si può giustificare tutto eccetto l'incidenza della spesa: ha davvero importanza spendere milioni per i giocatori giusti?

Proviamo a fare un'inversione di marcia. Riguardiamo le cose a ritroso e pensiamo a tutto il resto in senso generale: che ruolo diamo all'armonia dello spogliatoio e alla spinta dei tifosi in relazione ai traguardi raggiungibili? Che peso attribuiamo allo staff dirigenziale? E i preparatori rappresentano davvero l'incognita più decisiva nell'incidenza degli infortuni?

In ogni città c'è sempre quell'isola di traffico che instilla dubbi pericolosi perfino ai piloti più esperti, qualche volta anche negli istruttori di scuola guida. Per fortuna che l'incrocio più fatale che stiamo attraversando in questo periodo calcistico è presidiato da un vigile tuttofare, bravo e fortunato al tempo stesso. Non è mai stato così semplice dirsi Le Cose Come Stanno: Roberto Mancini coniuga alla perfezione le due facce di una moneta che nel caso specifico può anche cadere di taglio. Niente testa e niente croce, siamo di fronte all'equilibrio perfetto dentro un'ecosistema squilibrato, scosso da un'alternanza eccezionale di circostanze e colpi di genio.

I meriti: l'esplosione di Zaniolo in campionato e in Champions League è arrivata solo molto dopo la prima convocazione in azzurro, e di solito queste cose seguono l'esatto percorso inverso. Se dimostri qualcosa con il club forse, dopo, potrai abbracciare anche la nazionale. Invece lo sconosciuto ragazzino di casa Roma, mai visto realmente ad alti livelli, approdò a Coverciano da outsider tra l'incredulità dell'intero sistema calcio, pochi mesi dopo è riuscito a regalare al palcoscenico europeo una doppietta da ricordare.
Roberto Mancini ha naso per i giovani, ha sentito profumo di gol con largo anticipo rispetto ai comuni mortali, dimostrandosi perfettamente in grado di prendere scelte leggere e pesanti al tempo stesso, come quella di lasciare a casa Belotti per convocare Kean - tre partite in tutto l'anno con la Juventus - lanciarlo titolare e raccogliere subito il suo gol.
E la convocazione di Quagliarella? Per molti risulterà normale, una scelta dovuta, ma in tempi non sospetti con ben altri sergenti di ferro il requisito dell'età si cingeva di una concettualità più alta di ogni possibile prestazione sul campo. Il doriano invece è ancora dinamico, nello scampolo giocato ha dimostrato di poter svariare e creare alternative offensive, fasi di gioco che non appartengono invece al più fresco Cutrone, rimasto a casa per ripassare, guardare i più bravi.

La fortuna: qualcuno dirà che Mancini è semplicemente l'uomo del momento giusto, che si gode tutto il bello lasciando il cattivo tempo ai fantasmi di un recente passato. Qualcuno dirà che la primavera è arrivata all'improvviso, portando una ventata d'ottimismo con una serie di giovani fioriti per coincidenza, solo adesso, tutti insieme. Qualcun altro dirà che prendersi la libertà di fare qualsiasi cosa e qualsiasi scelta, per il Mancio, adesso sia molto semplice, quasi immediato, come una spensieratezza necessaria dettata dalle figure estremamente dimenticabili fatte da chi ha seduto sulla panchina prima di lui. Una specie di lasciapassare, un “uscite gratis di prigione” molto utile di questi tempi. Può darsi che qualcuno alla fine abbia anche ragione.
Di inconfutabile c'è il gol di Barella, altro talento della linea verde/azzurra, tanto importante quanto fortuito, necessario per rompere la parità e nettamente viziato da una deviazione, il più grande classico della percezione della buona sorte nel calcio. Una partita che si è instradata grazie al caso, reti inviolate che nascondono qualche traballamento di troppo contro una Finalndia modesta.

Capire quale dei due aspetti prevalga è un dubbio lecito, l'unica certezza che abbiamo è decretata dal fatto che la sorte non sia controllabile. Non possiamo essere tutti fortunati, possiamo però provare a diventare più bravi.
Vien da chiedersi cosa ne pensi a questo proposito Giampiero Ventura.

 

MC