Tre carte, l'asso vince. Due complici, puntate fasulle ed esiti pilotati: a volte il banco vince, a volte vincono i due compari. E la gente? Chi osserva non riesce a distogliere l'attenzione, a distinguere la realtà dal prestigio. Si viene letteralmente rapiti, come in trans, soggiogati nient'altro che da un'illusione. E la voglia di partecipare a quel gioco travolge le menti più instabili. Muovere le masse come pedine su uno scacchiere è l'abilità di un leader carismatico. Confondere le acque con pretesti fuorvianti rappresenta, tuttavia, l'ultima freccia di una faretra piccola, corta e stantia. La voglia di far vibrare un colpo inesploso. Lo chiamavano "silenzio stampa", come un digiuno dalle telecamere e dalle attenzioni mediatiche, ma alla fine hanno preso parte al banchetto il Direttore Sportivo, i calciatori sui social, il Presidente e addirittura il Sindaco della città. Non per mangiare, s'intende, solo per strappare tovaglioli, rovesciare piatti e urlare qualcosa di incomprensibile. Eviterò di continuare ad argomentare per metafore, meglio sparare direttamente Le Cose Come Stanno: l'ignoranza è nel popolo. Un popolo incapace di ribellarsi, di remare contro questa società partenopea capace solo di discolparsi da evidenti ed eclatanti cali di rendimento. Juventus-Napoli è sembrata per lunghissimi tratti Juventus-Empoli: una grande squadra ben organizzata contro una compagine fragile, inceppata a centrocampo e inconcludente sotto porta. Tolto il gol di Callejon, zero tiri in porta, zero costruzioni nella manovra offensiva. Il Napoli visto allo Juventus Stadium è stato oggettivamente il fratello del cugino della sorella della brutta copia del Napoli di Sarri. Quello esplosivo, dinamico ed imprevedibile. Un popolo di tifosi incapaci di ricordare, di guardare oltre: lo scorso Febbraio/Marzo si sono verificati gli stessi effetti negativi sulla rosa, stesso crollo della squadra e del gioco. Stessi problemi ricorrenti con il medesimo allenatore in panchina. Preparazione atletica fallace? La tensione si è allentata? In pochi attimi ho trovato la lucidità necessaria per guardare al campo e allo spogliatoio, punti nevralgici di un Napoli in balia di sé stesso, spaesato e senza il mordente che ha contraddistinto il girone d'andata. Sono passati due giorni dalla partita e anziché professare una certa autocritica, un passo indietro, un modo come un altro per tornare alla realtà delle cose, dalle alte cariche della società si inizia a spargere voce di una gara di ritorno da far disputare alla formazione primavera. Ed è davvero stupefacente constatare come un piagnisteo riesca a confondere, ritardare ed allontanare le analisi, i dati certi e le responsabilità concrete di chi non ottiene per propri demeriti un determinato risultato. Sconcertante il seguito del popolo, atrofizzato da un teatrino vecchio e sempreverde. Una riflessione che ne impone un'altra concatenata, sulla debolezza della mente umana, vulnerabile a qualsiasi cosa ci dica la tv o ci racconti un giornale, incapace di un connettivo logico proprio e controcorrente, vittima senza fine di spot, messaggi subliminali e vistose finzioni. L'unica domanda per cui valga la pena rispondere è una: perché scegliere di piangere? Un bambino piange perché non sa affrontare la vita. Un adulto piange perché non vuole affrontare la realtà. C'è anche una terza strada, quelli che piangono senza accorgersene. Per abitudine, per prassi, per stile di vita. In primis, quelli davanti in classifica al Fantacalcio. Poi, ovviamente, l'Universo Napoli. Calcistico e non. Una squadra, una città, un popolo destinato a non crescere mai. Perché crescere quando puoi trovare una scusante per non farlo? E il gioco delle tre carte continua... MC