Alzare al cielo un trofeo tra i coriandoli e il boato di uno stadio in festa è la spinta motivazionale che innesta nel vero professionista nuovi stimoli. Poi esistono i calciatori e la loro "magra" consolazione di una busta paga che, l'operaio di una nota azienda automobilistica made in Italy, non vedrà per intero nemmeno in 700 anni di contributi versati. Cosa contraddistingue, dunque, il professionista dal resto dei praticanti della medesima disciplina? E' più facile risultare scontati che innovativi, per cui anziché rispondere direttamente sposto l'attenzione sull'ultimo obiettivo da giocarsi in Serie A. C'è una finale, una Coppa da assegnare e due squadre che arrivano da ben diverse situazioni. Qui Milan. Nel recente sfogo di Brocchi ai media è venuta fuori una verità che tutti sapevamo ma che nessuno aveva ancora reso ufficiale: lo spogliatoio è inesistente, non c'è una reale vecchia guardia, non esiste unione d'intenti, non c'è una rotta tracciata e ogni volta che la squadra scende in campo non si capisce per quale obiettivo disputi la partita, sicuramente non quello di vincere, l'impressione tangibile è più quella di evitare ulteriori danni a livello d'immagine. Un Milan, ricordiamolo sempre, frutto di un delirio societario senza precedenti da oltre quattro anni, sul mercato e sul piano tecnico: quattro allenatori in due anni e nessun piano concreto per il presente e per l'avvenire. Dare la colpa al Brocchi di turno è troppo facile, troppo riduttivo e troppo ingiusto. Qui Juventus. La rimonta strepitosa, l'escalation di vittorie e l'esplosione del gruppo e di ciascun singolo ha reso questa stagione indimenticabile, ridefinita dallo stesso Massimiliano Allegri come "Lo Scudetto della forza di volontà". I frutti nell'orto bianconero si raccolgono anno dopo anno dopo meravigliose coltivazioni stagionali. La mentalità, in avvicinamento alla finale di Coppa Italia, è quella giusta. Facciamo ora un esercizio: chiudiamo gli occhi e, per un istante, immaginiamo una vittoria a sorpresa del Milan. Una vittoria bella, netta, magari anche un bel 3-0, senza se e senza ma. Travolgente ed inaspettata. Meritevole per quello che in 90 minuti è stato visto in campo. Adesso proviamo a vivere l'esatto momento in cui la squadra rossonera alza la Coppa Italia. Immedesimiamoci nei calciatori. Ma specialmente nei tifosi del Milan, sugli spalti e sulla poltrona di casa. Non state provando un certo grado di inappropriatezza? Esattamente come se quel 10 in quel lontano compito di matematica, avendo ora più coscienza, ci facesse riflettere sul fatto che non ce lo saremmo meritato davvero. Ed oggi, nonostante quel voto strepitoso, se ci dovessimo rimettere a fare gli integrali probabilmente non ci capiremmo niente. Diciamoci Le Cose Come Stanno, perché la vita è così, ed è impossibile negare: certe vittorie ci danno solo l'illusione di essere ciò che non siamo, ed hanno il pericoloso potere di nascondere del tutto problemi concreti che, fino a poco prima, andavano risolti. Ma tuttavia, avendo qualcosa da festeggiare, tutto il male si riduce, tutto il peccato si minimizza, facendo solo finta di scomparire. Dopo averci ricordato per una vita di essere la società più titolata al mondo, del record di Champions League di una squadra italiana e di una profonda mentalità europea, vincere questa Coppa Italia non può essere in alcun modo un input per rilanciare le ambizioni societarie passando da un radicale rinnovamento, bensì solo l'ennesima occasione per permettere ai vertici del Milan un immobilismo più che legittimato. Per diventare professionisti e non solo semplici calciatori, non si può pretendere sempre una maturità innata da un ventenne che si ritrova improvvisamente uno stipendio a cinque/sei zeri, serve piuttosto che dall'alto arrivi una guida e uno stile preciso che sappia educare: le pecore da sole sono perdute, solo con un vero pastore ritrovano un percorso e un'identità di gregge. Solo così possono discendere dei valori, una visione comune e un reale senso del dovere e del rispetto. Non solo verso chi paga lo stipendio ma specialmente verso ogni tifoso che ogni domenica si fa i chilometri per venire allo stadio. A volte, per migliorare noi stessi, è meglio una sonora bocciatura. MC