Per fame di soldi, in nome della legge del profitto vogliono sgretolare i principi di un meraviglioso sport, fatto di sana competizione, di energia positiva che sprigiona il confronto con l'avversario, di voglia di lottare e vincere, di continue sfide con lo scopo di migliorarsi ogni giorno, di dominio di un campionato o, semplicemente, del piacere di giocare a calcio. Forse è perfino riduttivo parlare di mancanza di lealtà sportiva, ma è proprio così. È proprio questo il senso del nuovo progetto della Superlega ufficializzato qualche mese fa, coinvolgendo un gruppo di super squadre a livello europeo e mondiale.
Che cosa porterebbe la nascita di questa competizione? L’uccisione definitiva del calcio. Il calcio dei sentimenti, fatto di attese spasmodiche alla vigilia di una partita, di sudore e sacrificio per raggiungere un grande risultato. Fatto di favole come il Leicester di Ranieri che vinse la Premier League nonostante concorresse contro squadre nettamente più forti come Chelsea, Manchester United, Manchester City o Liverpool o come l’Hellas Verona di Bagnoli che vinse lo scudetto, ribaltando ogni pronostico o ancora della grande Atalanta di questi ultimi anni. Addio, dunque alla concezione dello sport come simbolo di inclusione e fratellanza. Fattori che da sempre hanno caratterizzato questo magico mondo.
Lo sport è passione, dovrebbe divertire, far crescere e invece rischia di diventare soltanto business al servizio di potenti interessi economici. Business è la parola giusta per descrivere la situazione di uno sport unico, ma sempre più malato. Sport che rischia davvero di essere rovinato da parte di chi pensa solo ai soldi, ad arricchirsi sempre di più. Altro che calcio d’élite a supporto dell’intero sistema, i pro di questa competizione non sarebbero per tutti, solo per pochi eletti. Vorremmo tornare indietro a quando il calcio era un gioco genuino e si giocava “anche per un tozzo di pane” cit. Boniperti. A quando il merito era legato al risultato e non all'appeal di un brand di un'azienda. Si, perché ormai le squadre hanno assunto i connotati di vere e proprie aziende, orientate sempre più a risultati economici ed alle plusvalenze piuttosto che ad obiettivi sportivi raggiunti.
Continuando così è davvero difficile intravedere strategie volte a migliorare la sostenibilità del calcio in generale o a programmarne lo sviluppo investendo sui giovani, senza necessariamente passare per l'intreccio con i poteri forti. La crisi del calcio si può contrastare anche in altro modo. E gli altri modi devono coinvolgere tutto il mondo sportivo.