Nonostante il massiccio carico di impegni del palinsesto di giornata di un giovane operatore televisivo, stamani il gallo ha cantato ancor prima per chi, come il sottoscritto, si prepara ad una faticosa mattinata di raccolta delle olive. Ma come si fa a non scrivere qualche appunto sul ritorno di Prandelli alla Fiorentina?

Fine della ricreazione. Dopo i segnali di allarme delle scorse settimane, è finalmente suonata la campanella. A Firenze è tornato Cesare Prandelli. Tra continui esami di maturità e deplorevoli storpiature di calcio, sono arrivate le prime bocciature. Prima fra tutte quella di Beppe Iachini che, a seguito di una insipida serie di risultati, ha richiamato l’attenzione del Presidente. Commisso ha finalmente ordinato il cambio di marcia. Tutti richiamati in classe: dai secchioni come Ribery e Amrabat, a cui è richiesto maggior impegno, a chi è “intelligente ma non si applica”, quali Vlahovic e Kouame. È il momento di riprendere carta e penna e tornare a studiare, indossare calzoni e scarpini e ricominciare a correre, per ripresentarsi più preparati al prossimo appello. Perché una cattiva prestazione contro il Benevento potrebbe far suonare, stavolta, il gong finale.

Ritorno al futuro. Tra favorevoli e contrari, Cesare Prandelli si siede sulla scottante poltrona per tre condivisa con Montella e l’acclamatissimo Maurizio Sarri. Dopo i ritorni di fiamma di Pradè e Borja Valero e il Montella-bis, quello di Prandelli è il ritorno dei ritorni. Nonostante il passato viola dia credito a chi diffida dai cavalli di ritorno, la speranza che il tecnico di Orzinuovi riporti in auge un impulso di attaccamento alla maglia ormai andato perso, non è proprio una pessima idea. Se non altro, evitare il Montella-tris era la priorità. Reclamare Sarri, invece, una velleità. Sebbene gli anni d’oro del Prandelli Nazionale siano ormai un lontano ricordo, le memorie del suo passato in viola hanno sempre lasciato una porta aperta nel cuore dei tifosi. D’altronde l’amore, in tutte le sue forme, non è altro che un’emozione incosciente, che a volte sembra fuggire, ma che in realtà lascia un’impronta indelebile nel cuore di chi ha amato. Il riecheggiare di epoche ridenti, non può che incidere un sorriso sul volto di chi le ha vissute. Che fantastico futuro sarebbe quel passato...

Ma che squadra si ritrova Prandelli? Basterebbe il titolo del pezzo di Claudio Masini (fiorentinanews.com), "I segnali positivi inesistenti e i passi in avanti immaginari: l’ennesima partita su cui è inutile riflettere”, per descrivere la Fiorentina di oggi. Pallida, smorta, trasparente. Un barlume ogni tanto, e poi di nuovo il vuoto. Rapinando “a penna armata” ogni tipo di licenza poetica che men mi si addica, e concedendomi una sgradevole metafora culinaria, l'attuale Fiorentina è lungi da avvicinarsi al piacere della consistenza e della succosità della celebre carne locale, assumendo piuttosto l’anonimità di un inconsistente pezzo di tofu: non sa di niente. E se nell’era del ‘Primo Prandelli’ si era abituati a vedere una squadra brillante, ricca di idee e di corsa, quella che rimane oggi è senz’altro una rosa naufraga del nulla cosmico, vittima della dabbenaggine del suo gioco.

Tra i più accaniti sognatori c’era chi, per giorni, si era illuso che da uno di quei treni provenienti da Torino, prima o poi, sarebbe arrivato Maurizio Sarri. Ma come nelle più drammatiche storie d’amore, dalla carrozza non è mai sceso nessuno. A giochi fatti, l’imperativo diventa uno solo: ridare a Cesare quel che è di Cesare. Con il cambio di panchina, dare fiducia al secondo regno di Claudio Cesare Prandelli non è una scelta, ma l’unica cosa che conta. È giusto prendersi dei rischi e avere pazienza. A quella direi che siamo vaccinati. Anche perché sennò sapete che succede? Quello che succede sempre, cioè non succede niente.