Chiedere a un tifoso viola cosa significhi il 20 ottobre 2013 è come tagliare una cipolla: la lacrima è assicurata. Oggi, martedì 20 ottobre 2020, a sette anni da quel fantomatico Fiorentina-Juventus 4-2, mi sono svegliato con la voglia di raccontare una delle partite più rocambolesche e romantiche della storia della Fiorentina, vissuta e raccontata in prima persona dagli occhi di uno sfrontato tifoso (all’epoca) di sedici anni. Piccola premessa: condivido questa felice memoria senza fini di sfottò ma, semplicemente, per ricordare a cuore aperto un pezzo di storia del calcio italiano. È difficile parlare di Fiorentina su testate giornaliste di calibro nazionale: pubblico di nicchia, scarsità di contenuti, monopolio editoriale delle big. Ma seguo sempre con piacere il nostro direttore, Stefano Agresti, che scrive e parla di Fiorentina anche in televisione. E per imparare dai migliori lo leggo, lo ascolto e lo guardo pure su ToscanaTv! Anche perché faccio il cameraman per quella trasmissione…

Firenze, domenica 20 ottobre 2013. Giorno di Fiorentina-Juventus. Appuntamento cruciale per un tifoso viola. Dal marito che guarda la partita al ristorante, al fidanzato all’Ikea in attesa di messaggini dagli amici. Non importa chi sei, cosa fai, dove dovresti essere. Ho visto coppie lasciarsi per Fiorentina-Juventus. La sera prima ero rimasto a dormire da un amico a Valenzatico, frazione di Quarrata, dopo una serata in discoteca in cui avevo conosciuto la ragazza che sarebbe diventata la mia fidanzata per qualche mese. Maltempo, treni e autobus riuscirono a farmi tardare anche quel giorno, facendomi attendere da alcuni amici anche loro abbonati in Fiesole. Nelle cuffie Vasco, lo sguardo dritto verso lo stadio e la mente sognante - come ogni anno - di fare risultato contro i rivali di sempre. Quel giorno una magia particolare avvolgeva l’atmosfera di un Franchi sold out con una coreografia da urlo. Tutto sembrava andare per il meglio. Sembrava. Al 37esimo Tevez calcia e segna il rigore del vantaggio sotto la Fiesole, con tanto di ‘mitraglia’ alla Batistuta che fa inferocire i presenti. Tre minuti dopo, la Juve raddoppia con Pogba. Altra mitraglia. Lo stadio si incendia. Fine primo tempo 0-2Firenze è in ginocchio. L’atmosfera allo stadio era completamente cambiata. Quei tre minuti avevano ammutolito le quarantamila voci che fino a poco prima avevano assordato l’intera città. Bocca cucita per tutto l’intervallo, orecchie aperte ascoltando le dicerie di alcuni tifosi più esperti: “doppietta di Rossi, si pareggia”, o addirittura “3-2 Osvaldo-Papa Waigo, la si ribalta”. L’ironia aveva preso il sopravvento, ma un ultimo spiraglio di speranza scaldava ancora i cuori di quella fredda domenica di fine ottobre. Mancavano ancora 45’.

L’arbitro Rizzoli fischia il secondo tempo.
La Fiorentina giocava il bel calcio di una volta, la Juve difendeva con i migliori. Passano i primi quindici minuti. Niente da fare, due goal sono troppi. Fino a che... “Mati Fernandez, area di rigore, va giù... calcio di rigore! - Rossi... 1-2!”. Caos totale. Firenze torna a crederci. Cinque minuti dopo Pepito trova il pareggio: 2-2. Delirio. L’imperativo diventa uno solo: Vincere. Il fragore torna ad essere assordante. Un amico mi telefona: “Hai visto? Sei lì? Eh? Sei lì?”. Non sentivo niente, riattacco e nel mentre... “3-2! Joaquin!”. Rimasi fermo. Non dissi niente. Non capivo se la gente si rendesse conto oppure esultasse e basta, incredula. Adebacle totale, Juve in affanno. Poi qualche minuto di sofferenza e infine la liberazione: “Tripletta di Rossi. 4-2!”. Il quarto in quindici minuti.
Ricordo bene la corsa di Cuadrado, il passaggio per Pepito. E ricordo pure che non guardai la palla entrare, ma mi girai poco prima del tiro per paura che qualcuno mi cascasse addosso. Ricordo anche quel signore sconosciuto lanciatosi da una decina di metri sopra di me. Mi abbracciò urlando con le ultime parole rimaste in gola: “Te tu sei giovane, io in quarant’anni una cosa del genere non l’ho mai vista!”. Forse ha un po’ esagerato, ma il clima a fine partita era esattamente quello. E non mi vergogno a dirlo: sembrava di aver vinto lo scudetto. Al novantesimo tutti senza maglia: i 12/13 gradi sembravano 30. Il petto in fuori, la testa alta e lo sguardo fiero di una Firenze che continuava a sognare.

Per un fiorentino il biglietto di una partita così non ha prezzo, vale più di qualsiasi cosa: di una scommessa vinta, di un bel voto a scuola, di una scopata.
Noi viola siamo così: cresciuti a pane, vino e Fiorentina. Nutriti dei racconti di Baggio e Batistuta. E ora tocca a noi raccontare quelle rare ma incredibili imprese. Perché il calcio è fatto soprattutto di storie. E una partita del genere rimarrà per sempre indelebile nel nostro cuore.

Grazie dell’attenzione e buon calcio a tutti, con l’augurio di tornare il più presto possibile a rompere l'assordante silenzio degli stadi.