Discettare di calcio, in quanto sport, durante una pandemia è aria fritta. Tanti problemi, troppi contagi e poche soluzioni. Studiare il giuoco calcio in quanto terza industria d’Italia, esaminandone dati, innovazioni e forza lavoro impiegata, giustifica l’imperterrita ricerca di soluzioni a questa dannata epidemia. Se non altro, mentre il Governo si accinge a proclamare un nuovo, e quasi definitivo, Dpcm, gli organi calcistici non sembrano ancora aver trovato una soluzione al problema, se non quella di affidarsi al più classico dei "the show must go on". A notare che i campionati di calcio siano morti che camminano, non ci vuole di certo un genio. Siamo nel limbo assoluto, con gli occhi puntati sulle classifiche mentre il cerchio del contagio si stringe. E un banalissimo “Con chi si gioca la prossima?”, rischia di trasformarsi in un malinconico “Chissà se si gioca la prossima”.

È il momento di darsi una svegliata. Senza vaccino niente sarà come prima. L’assenza delle tifoserie ha reso neutrale qualsiasi stadio, e la situazione non cambierà. La strada adottata per le final eight della scorsa edizione di Champions League sembra aver funzionato. Perché non andare in fondo a questo concetto? Apro una piccola parentesi personale. Non ho letto le altre idee dei miei colleghi bloggers, quindi spero di non aver rubato niente a nessuno. E nel caso fosse così, non me ne vogliate. Tutto il mondo è al lavoro per gli stessi problemi, ma le soluzioni sono poche per tutti. Chiusa parentesi, se esiste qualcuno in grado di gestire e migliorare con caparbietà le falle dell’industria sportiva, quelli sono gli USA. E la bolla NBA ha dato lezioni di politica, business e amore per lo sport a tutto il mondo. Come ci sono riusciti? L’unione fa la forza. Disney ha aperto le porte di casa al mondo del basket. In un regime di paura, distanziamento ed egoismo, l’intrattenimento ha teso la mano all’intrattenimento. Una perfetta metafora anti-pandemica. Un investimento da 180 milioni di dollari per garantire la massima sicurezza ai giocatori, tutti muniti di anello rilevatore dei parametri fisici in grado di monitorare eventuali scompensi da Covid. Un orologio di Topolino (avete letto bene) come chiave d’accesso apri-porte. E chi più ne ha più ne metta. Basta leggere l’intervista a Belinelli sull’esperienza nella bolla. Calcolando che il calcio ha bisogno di stadi e spazi più ampi per un maggior numero di giocatori, un Disneyland non basterebbe. Ma è la mentalità commerciale americana che andrebbe ammirata: sorto un problema, si trova una soluzione. Quattro mesi di lockdown impiegati per costruire un nuovo "Stato dello sport”, indipendente, moderno, lontano da rivalità, trasferte e mezzi pubblici. Una bolla asettica, intoccabile. Un angolo di sport e felicità.

Arriviamo al dunque. Il futuro della Champions appartiene alle televisioni, e sta a loro decidere.
La mia proposta è quella di giocare la coppa durante un mese invernale, a scelta, con sospensione dei campionati, riprendendo la formula degli Europei e riproponendo lo schema della scorsa Champions, senza obbligo di giocare in Europa. D’altronde sono anni che le Supercoppe vengano disputate, per motivi economici, in continenti lontani da quello d’origine. Tutti insieme in una grande bolla. Un'opzione potrebbe essere quella di disputare il torneo in una nazione con pochi contagiati, lontana da tutti ma con disponibilità di stadi e attrezzature. L’Australia per esempio? Vedremo, ma una cosa è certa: senza tifo, ogni stadio è terra neutrale, e senza calcio il tifoso è privo di credo. Nell’ignoto del domani non esiste giusto o sbagliato. Si può condividere o non condividere un’opinione. Ma è il non decidere, la peggiore idea possibile.