In questi giorni l’argomento principe, e come potrebbe essere diversamente, è la figuraccia fatta dalla Juve in casa con il Benevento.
Una sconfitta che ha fatto un rumore assordante, non tanto per il risultato in sé, ma per come è maturato e nel periodo in cui è arrivato.
Tante sono le parole fatte sui motivi di questa sconfitta, in particolar modo sull’atteggiamento della squadra, svogliata, presuntuosa, convinta di svolgere il “compitino” senza patemi contro chi arrivava da un periodo di forma non eccellente e che sembrava aver smarrito lo spirito che nella prima parte di stagione l’aveva fatta una delle sorprese del campionato.
Ma per chi segue la “Vecchia Signora” da inizio anno, se si esaminano più a fondo i contenuti della debacle e più in generale dell’intera stagione, può giungere alla conclusione che sia stata la semplice conseguenza di un qualcosa che prima o poi doveva capitare e, anche a rischio di andare controtendenza nell’immaginario generale, sembrata molto meno stupefacente di quello che si pensi.

Ma partiamo dall’inizio, cioè dall’esonero di Sarri e l’arrivo in panchina di Pirlo, scelta diretta di Andrea Agnelli che non ha mai nascosto di non avere mai del tutto accettato l’allenatore toscano, arrivato più per volontà del duo Paratici-Nedved che sua.
Se si vogliono trovare delle etichette una scelta che sembrava “azzardata”, per essere più ottimisti “coraggiosa”, con la speranza nel popolo bianconero che si potesse trasformare in “intuizione”, ma che ora, arrivati a trequarti di stagione inoltrata, si pùo definire solo “scellerata”.
Scellerata non tanto per risultati ottenuti sino ad ora che non la portano ad essere una stagione completamente fallimentare o meglio non di più delle precedenti (dopo nove anni un calo in campionato poteva essere preventivabile e ci sarebbe comunque voluta la migliore Juve per competere con l’Inter di quest’anno, supercoppa conquistata, finale di Coppa Italia da giocare e si eliminazione agli ottavi di Champions League ma nei due anni precedenti non era andata molto diversamente) ma per un progetto tecnico- tattico che ha mostrato lacune dal primo giorno di applicazione e che non ha visto nessun miglioramento nel corso del tempo.

Al di là dei limiti di carisma e d’esperienza che non si possono pretendere da chi al via del campionato vantava zero panchine in serie A, il primo errore commesso da Pirlo è di aver pensato, elaborato e creato un'idea di calcio sicuramente innovativa nei contenuti, ma che non solo non ha portato benefici nel gioco, ma soprattutto che non si poteva applicare con i giocatori che si avevano a disposizione.
Ma se, come dice il proverbio, errare è umano, perseverare è diabolico.
Non ci voleva difatti il miglior allenatore del mondo per capire che una squadra farcita di ali costruita per giocare con il 4-3-3 o al limite in maniera riadattata con il 3-5-2 a cui il mercato estivo non ha aggiunto che un'altra ala, un centrocampista centrale e una punta quest’ultimi due fra l’altro in sostituzione dei partenti Higuain e Matuidi, non si poteva chiedere, per uomini e attitudini, di giocare con un sistema di gioco che prevedesse in costruzione un trequartista, ruolo che in rosa non è coperto e neanche con fantasia si poteva inventare, che in fase difensiva si spostasse a coprire il ruolo esterno lasciato scoperto, un ala pura, che nell’immaginario dovesse giocare a tutta fascia , e con una difesa a 3 in impostazione con un terzino riadattato che in fase difensiva si trasformava a 4 con un ala che si abbassa per fare il terzino.
Uno sistema di gioco elaborato, complicato e mai sentito, di difficile realizzazione per qualsiasi mostro sacro della panchina, praticamente impossibile per un neo-allenatore.

Ma se come detto errare è umano e soprattutto lecito, in particolare quando ci si rende conto di aver sbagliato e si torna sui propri passi, il secondo errore di Pirlo e forse il più grave è stato quello di perseverare sui suoi passi, di incaponirsi sulla propria “idea” di calcio contro tutto e tutti e andando comunque avanti anche quando la logica, sotto forma di giocatori indisponibili, avrebbe obbligato o almeno suggerito di cambiare e riuscendo a schierare nell’ultima partita ben 4 giocatori sulla carta fuori ruolo ottenendo i risultati, al di la del punteggio, di gioco che si sono visti sul campo.

Ultimo, ma non ultimo per importanza, errore di Pirlo è stata la ricerca ossessiva della costruzione del gioco dal basso.
Vero nel calcio moderno è sempre più frequente e sempre meno rara l’utilizzo di questa filosofia, a volte con ottimi risultati, a volte con risultati modesti, a volte con risultati disastrosi, ma comunque la si voglia vedere la cosa più importante è che quando si tirano le somme i benefici siano maggiori del contrario.Al di la della brutta figura fatta nell’andata con il Porto che è stato un episodio e dunque deve essere trattato come tale, cosa ben più grave è il fatto che non solo che i segnali che questo potesse succedere si erano già avuti più e più volte durante la stagione e sono stati completamente ignorati ma che non si ha avuto praticamente mai un reale risultato da questa impostazione se non creare dei pericolosi rischi inutili sotto forma di occasioni da rete.

Le colpe, come già detto, non sono solo dell’allenatore e ovviamente sono da spartire in parti uguali con il presidente, che lo ha scelto, e la dirigenza, che non è stata in grado di costruire una squadra all’altezza.
Ma se gli errori di Pirlo in panchina sono attribuibili solo a se stesso, ben più gravi sono le responsabilità di Agnelli e il rischio concreto è che, senza un cambio di rotta e una decisione forte, non si falliscano solo gli obiettivi di questa stagione, ma di dover ridimensionare anche quelli della prossima.
Finire tra le prima quattro non è mai stato cosi tanto poco scontato...