Ci sono serate che nascono male e finiscono peggio. I tifosi della Roma, di serate così, ne hanno vissute abbastanza da avere le spalle larghe nel leggere Genoa-Roma 4-1, ma la sensazione di smarrimento, rabbia, delusione, non svanisce, resta immutata ogni qualvolta si cade nell’oblio della disfatta.
Non scalfisce l’amore però, che persino aumenta nello stringersi forte intorno al proprio vessillo, che va sostenuto, portato in grembo come la cosa più cara a questo mondo. Il gol di Messias al minuto 81, arrivava come una coltellata inflitta ad un corpo esanime, già a miglior vita dopo la rete di Thorsby, segnatura che rendeva fatalmente reale lo spettro della terza sconfitta su sei gare disputate: un’ecatombe di dimensioni gigantesche.
Stavolta la rabbia verso squadra e allenatore ha valicato i confini social, manifestandosi rabbiosa anche nei tanti che popolavano il settore ospiti, ancora una volta un pieno d’affetto che non trovava riscontro nei giocatori, indegni dello stesso per quanto fatto, o meglio non fatto in campo. Perché il tifoso della Roma dà l’anima, ci mette tutto: chilometri, soldi, cuore, lacrime e sangue, e l’unica cosa che chiede non sono i risultati, che in qualche modo sfuggono alle regole e al controllo, ma il valore, l’impegno, la ferocia di andarsi a prendere ogni centimetro del prato verde: banalmente, il rispetto per la maglia, la quale va sudata sempre. Il tifoso può anche foderarsi gli occhi di prosciutto per l’amore incondizionato che prova, ma quando la casacca non viene rispettata se ne accorge. Per quella maglia sacrifichiamo giornate di lavoro, vacanze, hobby e finanche affetti.
Tutto ciò merita rispetto: chi non è pronto a dare tutto, vada via, qualsiasi sia il nome apposto sulla maglia che indossa. Nessuno escluso. 5 punti in 6 partite è l’inizio peggiore dell’era tre punti, ma ribadisco che non è tanto quello a far male, piuttosto il vedere un gruppo sfaldato, quasi arreso al destino senza combattere pur di portare il vento in poppa: vergogna! “Chi si estranea dalla lotta è un gran figlio di una mi…tta” diceva Ferraris IV, nostro primo capitano. Il principio è sempre quello, anche a distanza di 80 anni.
Non si vincono le partite se non si è disposti al sacrificio. Non è accettabile veder sgusciare via Gudmundsson come fosse Messi per poi veder capitalizzare il Genoa al massimo trovando la rete del 2-1 di Retegui, tra l’altro a coronamento di un’azione che ahinoi, è stata davvero notevole. Non per togliere meriti al Genoa, che anzi ha espresso un buon calcio, però non può essere un caso che in una sera abbia fatto gli stessi gol delle 5 partite prima.

Mourinho in conferenza ha pensato bene di tutelare il proprio operato, dicendo che è senz’altro vero che questo è l’inizio peggiore della sua e della nostra storia, ma è altrettanto vero che la Roma ha disputato due finali in due anni come mai era capitato: con tutto il rispetto per Josè, allenatore che ha la mia massima stima, non bastano questi fatti a indorare la pillola. Questa squadra non ha la rosa del Bayern Monaco, però ha sicuramente gli strumenti per fare più dei 5 punti raccolti tra Salernitana, Verona, Milan, Empoli, Torino e Genoa. Siamo lontanissimi dall’obiettivo fissato a inizio stagione, e siamo lontani anche da un normale rendimento accettabile.
Vincere domani contro il Frosinone non è un obbligo, è un dovere verso chi continua a sostenere senza sosta una formazione che ha deluso proprio tutti, anche i più pacati che guardavano subito oltre scrivendo “testa alla prossima”.
Sia chiaro: al fischio finale, il mio unico pensiero è stato “Forza Roma”, seppur maledire ogni cosa mi capitasse a tiro fosse istinto intrinseco. L’idea di contestare squadra e tecnico non mi ha mai sfiorato, perché il gruppo è questo, così come il tecnico, che come stucchevolmente dallo stesso ricordato, ci ha portati in cima all’Europa per due anni consecutivi.

Non potrò mai parlar male di Mourinho per quanto provato nelle ultime stagioni, però concedetemi di essere rimasto deluso da qualche dichiarazione, oggettivamente fuori luogo. Nello specifico, sentirgli rimpiangere costantemente Roger Ibanez, mi sembra davvero fuori ogni logica: Ndicka non si sta dimostrando all’altezza, però non è che il suo predecessore fosse proprio Water Samuel…Lo scorso anno Ibanez c'era, e qualche pastrocchio l'abbiamo comunque visto, a dirla tutta proprio ad operare dello stesso brasiliano.
A difesa dell'allenatore, va detto, Ibanez era un indiscusso titolare del lusitano nello scacchiere 2022/23. Se perdo contro Kutlu però, non me ne voglia il centrocampista turco, un pò mi girano, anzi, mi frullano! Non credo che passando da Ibanez a Ndicka, questa sia diventata compagine da sedicesima piazza.
Mettiamoci poi, che con un attacco composto da Dybala e Lukaku, si dovrebbe partire sempre da 1-0, invece ci ritroviamo all’inferno, e forse più di qualcuno che si diceva disposto a raggiungerlo con Mourinho, adesso sta tornando sui propri passi. Non io, che continuo a vedere il portoghese come unica soluzione possibile, fiducioso che in un modo o nell’altro ci risolleverà dal fango in cui siamo precipitati.
Le alternative quali sono? Conte? Ma davvero c’è qualcuno che pensa che la Roma si possa permettere di tenere sul libro paga i restanti mesi che ci legano a Mou, più il cospicuo salario che vorrebbe il salentino? Inoltre, siamo davvero certi che Conte accetterebbe al volo una rosa non costruita da lui e in corso d’opera? Onestamente, ci credo poco, anche se la panchina capitolina fa gola a tanti, e l’ex Tottenham sembra non avere la fila di pretendenti come accadeva fino a qualche anno fa.
In ogni caso, Mourinho è stato chiarissimo nella conferenza odierna, spegnendo di fatti ogni possibile rumor: “in estate ho rifiutato un’offerta storica per un allenatore, pur di rispettare la parola data a giocatori, società e tifosi. Tre mesi dopo sembra che sia io il problema e non lo accetto. Resto fino a giugno 2024, solo Friedkin può cacciarmi”.
Sono convinto che - non solo per una mera ma comunque fondante questione economica - Dan Friedkin lascerà l’eroe del triplete nerazzurro al suo posto, perché anche avere continuità tecnica è segno di una società forte. Sostenere il mister quando la situazione non è delle migliori, potrebbe apparire esercizio insano e controproducente, ma è solo così che si va oltre i pregiudizi e le malelingue, quelle che vorrebbero i calciatori in contrasto, quelle che fomentano il dissenso e si insinuano serpeggianti nelle ferite del tifoso, facendo sembrare l’esonero l’unica via percorribile per ritrovare continuità di progetto e risultati.
La storia però ci insegna l’esatto contrario: non siamo mai saluti di livello “switchando” un allenatore con un altro. Anni di cambi in panchina ci hanno tenuti in stallo nella stessa condizione, in un saliscendi di emozioni che portavano a gridare nel giro di qualche gara dal gioco spumeggiante che porta alla vittoria alla critica più aspra dell’amara rassegnazione.
Non se ne esce. E’ sempre così. Sapete chi negli ultimi dieci anni ha spento più a lungo questo gioco mortale a cui siamo tanto abituati? Josè Mourinho. L’unico che tra uno scricchiolio e l’altro, è riuscito a far remare un popolo intero nella stessa direzione, portando gente allo stadio come mai negli ultimi 20 anni, portando il romanista ad abituarsi a una realtà europea che non è più quella della semplice comparsa, ma quella del fan che ci crede, che vive i tornei con l’ambizione di arrivare in fondo e pensare addirittura di vincere, verbo che prima dell’avvento del portoghese sembrava sbagliato persino sussurrare.

Non ne faccio una colpa a chi tra i tifosi la pensa in questa maniera: in primis non sono tra chi divide i tifosi tra “veri” e “presunti”, anche se certe volte a leggere o sentire certi discorsi, sembra davvero che qualcuno pur di portare avanti la propria idea preferisca vederci conseguire risultati nefasti piuttosto di ammettere realtà più o meno scomode. Il “vizio” di puntare il dito contro l’allenatore comunque, non è usanza capitolina ma nazionale: quante volte lo scorso anno abbiamo letto “Inzaghi out”, salvo poi veder gli stessi elogiare l’ex Lazio quando l’Inter ha raggiunto la finale della coppa più importante? Restare tanto tempo su una panchina italiana è davvero complicato, a maggior ragione su quelle con ambizioni maggiori. Pensiamo a Klopp: lo scorso anno il Liverpool è stato per gran parte della stagione molto al di sotto delle aspettative, eppure il tedesco è ancora lì, saldamente al comando dei britannici, questi consapevoli che una stagione negativa non cancella il valore di uno tecnici più importanti del panorama internazionale.
Ecco, certe volte invidio quella capacità di restare calmi, lucidi e meno disfattisti che hanno in diversi campionati e nello specifico alcune società di Premier League, perché anche lì di disastri se ne vedono, basta pensare al “circo” messo su dal Chelsea nella scorsa annata, tra Tuchel, Potter e infine Pochettino. I Friedkin, fortunatamente, sembrano diversi, certamente coinvolti dalla passione strabordante che li circonda, ma meno avvezzi alla drammaticità che pervade la città in un momento di pressione e mancanza di gioco e risultati. 

Fidiamoci ancora della società. Fidiamoci ancora di Mourinho, fratelli romanisti! Rendiamo autentico ciò che abbiamo sventolato e scritto a ogni latitudine:

Con Mourinho fino all’inferno, e visto che ci siamo già, anche oltre! Che sia per un altro giorno o fino a Giugno, che sia fino a dopo Roma-Frosinone o finanche per tutta la vita: forza Josè perchè vuol dire Forza Roma!

Alla prossima branco.
Mai sola mai!

Brancoromanista