Il razzismo negli stadi non esiste.
Un titolo forte, certamente provocatorio, volutamente erroneo.

Ho deciso di aprire questo mio articolo con un titolo così diretto per catturare più attenzione possibile e condividere il mio pensiero con più lettori possibili, sperando di offrire a mia volta uno spunto di riflessione.

Fatta questa doverosa premessa, vorrei tornare al punto di partenza; nonostante mi renda conto di essere entrato col piede a martello in uno dei più delicati ed attuali temi sociali (sia nel mondo dello sport che oltre) non è assolutamente mia intenzione trattare argomenti filo-politici o tali, nè veicolare messaggi simili.

Il mio pensiero si fonda su una semplice tesi: quel gigantesco problema che sembrerebbe essere il razzismo negli stadi, non è altro che l'ombra di un problema ancora maggiore, ovvero la mancanza di rispetto e di sportività che inquina il calcio.

Non fraintendete, io sono il primo tifoso che quando va allo stadio, spesso cade in insulti e volgarità e proprio per questo non è assolutamente mia intenzione "fare la predica" a qualcuno, oppure descrivere un mondo utopico in cui non serva nemmeno più dividere le tifoserie per settori durante le partite più calde, il concetto su cui vorrei far riflettere è il sottile margine tra la rivalità sportiva e la mancanza di rispetto alla persona dall'altra parte della barricata, solo perchè la sua maglia ha colori diversi dalla propria.

Al giorno d'oggi assistiamo sempre di più a campagne volte a sensibilizzare i tifosi, soprattutto i più giovani, sul tema del razzismo; campagne, che per quanto siano giuste, ignorano una quantità di altre casistiche talmente elevata, da far risultare quasi populismo bello e buono il significato di fondo che trasmettono, come a dire: "non si insulta l'avversario perchè ha la pelle più scura della tua, però se vuoi dire che sua mamma è una poco di buono (per usare un eufemismo) non c'è alcun problema".

Ovviamente non è questo il significato, ma la domanda che sorge spontanea è: perchè il tifoso X, che ha (ad esempio) urlato cori razzisti contro Koulibaly merita un processo mediatico come se avesse ucciso un uomo, mentre il tifoso Y, che ha urlato a Materazzi, per una intera carriera, "tua mamma è una..." non è altrettanto degno di nota, piuttosto che il tifoso Z, che ha urlato ad Icardi le cose più brutte che si possano dire ad una donna, riferendosi alla moglie, è stato etichettato come "un povero tifoso, stanco delle bizze dell'ennesimo ragazzino strapagato dalla sua squadra del cuore"?
Dall'alto della mia somma ignoranza mi sento di rispondere che questa situazione è figlia di uno dei più gravi problemi del nostro tessuto sociale: creare un nemico pubblico da dover mitizzare, per poi sconfiggerlo e compiacersi nell'illusione che con lui siano morti anche tutti gli altri problemi irrisolti.

Quello che intendo dire è che forse, più che concentrarsi su quali gesti possano essere considerati razzisti, e in che misura, sarebbe opportuno cercare di stabilire fino a che punto le provocazioni, gli atteggiamenti e le volgarià, siano rivolte alla squadra avversaria (intesa come club) e quando siano, invece, rivolte alle persone appartenenti alla squadra avversaria, che siano essi tifosi o giocatori.

Il calcio è un bellissimo sport, coinvolgente, appassionante, che ti fa provare immense emozioni; per questo non assisteremo MAI a stadi semi-muti durante una partita, o a manifestazioni pacate di gioia o di dolore da parte dei tifosi, perchè chi vuole assistere in silenzio e con fare composto ad uno spettacolo, va al teatro, non allo stadio.

Allo stesso modo, lo stadio dovrebbe rappresentare un luogo di sfogo, ma allo stesso tempo di aggregazione, in cui le persone possano dirsele di santa ragione dentro quelle quattro mura (sempre nei limiti del rispetto umano per le persone che si hanno davanti) ed uscire più felici e sollevati di prima, pronti a non odiarsi gli uni con gli altri per risolvere i VERI problemi sociali.

Tutti gli esempi che ho portato prima, sono obiettivamente sbagliati allo stesso modo, e proprio per questo andrebbero sanzionati in egual misura, come se fossero lo stesso problema; cosa che poi sono.

Non si può affrontare (e punire) un solo problema, o tutti e tre singolarmente, perchè i fatti dimostrano che così facendo le persone che veramente andrebbero allontanate dagli stadi, si aggrapperanno ad ogni possibile precedente pur di giustificarsi, e sentendosi ingiustamente puniti, continueranno a fare quello che facevano prima, con ancora più convinzione. 

Già nella vita è necessario avere sempre un carissimo amico di una diversa etnia, e un ancora più carissimo amico omosessuale, per potersi sempre "difendere" da chi cerca di trovare del marcio ovunque; almeno negli stadi, o più in generale nel calcio, non si potrebbe veicolare il messaggio che quello che succede sul campo rimane sul campo, senza finire nelle mancanze di rispetto personali? Un po' come dire "Interisti e Juventini, Laziali e Romanisti, Genoani e Doriani, insultatevi quanto volete per l'appartenenza alla vostra squadra del cuore e per la rivalità che vi divide, ma ricordatevi sempre che siete amici, parenti, concittadini, fratelli".

In sostanza, io penso che sia sbagliato pubblicizzare slogan quali "no al razzismo", non perché siano sbagliati in sé, quanto perché siano incompleti.
Non siamo "tutti fratelli, qualsiasi sia il colore della nostra pelle", siamo "tutti fratelli, qualsiasi sia il colore della nostra maglia".