Se non è rotto, non aggiustarlo, dice un vecchio adagio; uno di quelli che si sente spesso ripetere senza dargli troppo peso, ma poi nei momenti di riflessione diventa una sorta di mantra da seguire ciecamente.
Ovviamente il riferimento è al match di ieri sera, proprio quando si pensava (erroneamente) che questo 2020 non avesse altre soprese e/o scossoni in serbo per noi, sono arrivati i 4 gol dei rossoneri in 20 minuti.
Nessuno si sarebbe mai aspettato un risultato del genere nonostante l'exploit di Roma la scorsa settimana, vuoi perchè la Lazio (con tutto il rispetto) è una squadra in caduta libera, vuoi perchè la Juve ottacampione è pur sempre un'istituzione del nostro massimo campionato, eppure nell'incredulità generale il Milan dell'accoppiata Pioli - Ibra si è spinto oltre i limiti dell'immaginabile.

Non è mia intenzione salire in corsa sul carro dei vincitori, dopo tutto la classifica parla chiaro: Juve prima con mezzo scudetto già in bacheca, Milan quinto (attendendo il Napoli questa sera) a distanza siderale dall'Europa che conta; sarebbe quanto meno incoerente glorificare una squadra che è stata bistrattata, giustamente aggiungerei, da mezza Italia fin dalla prima giornata a causa di prestazioni inguardabili e di caos societari, talmente intricati da perdere quasi di senso.
La mia riflessione si incentra, invece, sulla strana coppia che governa a Milanello, perchè per onestà intellettuale sarebbe inutile non ammettere che su un pezzo di panchina rossonera sieda il buon Ibrahimovic; dicevamo, la strana coppia: un onesto allenatore da metà classifica, senza infamia né lode e una leggenda sulla via del tramonto.
Detta così sembrerebbe il sintomo di una società disperata, che non vincendo nulla sul campo, offre una pensione d'oro al grande nome di turno per vendere qualche maglia in più; in effetti il ritorno del totem di Malmoe è probabilmente stato propiziato più da logiche pubblicitarie che di campo, eppure piano piano la bizzarra idea di affidarsi a un personaggio ibrido tra giocatore e allenatore ha funzionato.
Sicuramente la partita di ieri è stata più buttata via dalla vecchia signora, che vinta dal diavolo (nonostante, scivolone di Ferrara a parte, il Milan stia avendo un eccellente rendimento post-COVID), ma l'aspetto più rilevante dei quasi 100 minuti di San Siro è stato il vedere finalmente una squadra consapevole. Già, proprio quella consapevolezza molto spesso sottovalutata nel mondo del pallone ha condotto il Milan a una delle più belle prestazioni della stagione, se non la più bella in assoluto; non tanto per la vittoria in sè (che fa comunque morale e classifica), quanto per il fatto di aver affrontato un avversario estremamente più forte, che in 5 minuti ha giustamente indirizzato la partita dalla propria parte e di averlo colpito (e affondato) nelle uniche occasioni utili.

Questa squadra non ha nulla in comune con quella di Berlusconi, che andava in giro per il mondo ad insegnare il giuoco del calcio, ma per la prima volta dopo anni pare abbia un anima propria e soprattutto una consapevolezza dei propri mezzi e del proprio status attuale, senza vivere della luce riflessa (e dell'innegabile peso) di ciò che fu; il problema del Milan post Silvio, a mio modesto parere, è sempre stato la spocchia di voler mostrare le 7 Champions sulla manica sinistra di giocatori che, francamente, definire mediocri è fin troppo generoso.
Per questo motivo si è sempre puntato su allenatori inesperti o direttamente esordienti (Inzaghi, Seedorf, per qualche partita Brocchi) e su dirigenti altrettanto alle prime armi (Maldini, Boban) oppure clamorosamente inconcludenti (Leonardo) solo per il loro scintillante passato da giocatori rossoneri, fallendo puntualmente nei rispettivi progetti e inanellando interminabili anni zero.

La forza di Pioli è stata proprio arrivare "solo perchè Spalletti voleva troppi soldi" ed essere semi-formalmente scaricato dalla società già a fine Novembre, perché è grazie a questi presupposti che ha potuto lavorare normalmente, senza il peso di dover riportare il Milan ai suoi antichi fasti in uno schiocco di dita.
Non ha compiuto miracoli né è stato un condottiero leggendario, ma comunque ha compiuto il primo passo di un lungo e tortuoso cammino: il Diavolo ha il dovere (quasi morale) di tornare prima o poi all'apice del calcio mondiale, ma in questi ultimi anni è sempre parso come un grande campione, che dopo un terribile infortunio, prova a correre subito senza passare prima dalla riabilitazione, ottenendo solo e unicamente ricadute continue e terribili figuracce.

In questo senso pare evidente che la figura di Ragnick, per lo meno in veste di allenatore, strida con il presente (e col futuro prossimo) di una squadra che non necessita dell'ennesima rivoluzione copernicana, ma solo di una spinta nel proseguire un percorso appena intrapreso, anche perchè il manager tedesco arriverà con l'etichetta di quello che ha cacciato Pioli, nonostante i buoni risultati ottenuti.
Pioli non è, e (probabilmente) non sarà mai un gradnissimo allenatore, nonostante sia un ottimo costruttore di basi per future squadre vincenti; Ibra non è più un campione dominante, ma al contrario è un leader carismetico e una chioccia per i molti giovani in rosa; Ragnick non è un top manager ai livelli di Guardiola o Klopp, pur essendo un eccellente scopritore di talenti.

Alla luce di tutte queste considerazioni, la mia riflessione è la seguente: non sarebbe meglio per tutti far coesistere quest'anima "normale" con quella "visionaria" di Ragnick per avere un anno di transizione, una sorta di anno uno, di modo che la squadra continui il processo di crescita intrapreso in questa stagione (con Pioli e Ibra ancora al comando), il manager tedesco abbia la possibilità di entrare più gradualmente e con meno pressioni nell'ambiente Milan e poi, una volta che i tempi saranno maturi, farlo scendere dalla tribuna alla panchina?