Molti giocatori brasiliani diventano famosi e conosciuti in tutto il mondo con un apelido, un soprannome, che molti si portano dietro dall’infanzia. Il protagonista della nostra storia è proprio uno di questi.
Ecco a voi la storia di Ganso, il cigno diventato anatroccolo.

La storia dell’apelido
Paulo Henrique Chagas de Lima (Ananindeua, 12/10/1989), meglio noto come Ganso, vede girare la propria carriera attorno al suo apelido. Ganso in portoghese significa anatra e, anche qui torna in scena il destino, la sua storia ripercorre la fiaba di Hans Christian Andersen, Il Brutto Anatroccolo. C’è solo una grande differenza con la carriera da calciatore del paraense, perché in questa storia è il cigno a diventare brutto anatroccolo.

L’inizio entusiasmante di carriera
La prima squadra giovanile in cui milita Ganso è il Paysandu Sport Club, una delle migliori compagini dello stato in cui nasce, il Pará. L’esperienza dura però solo un anno perché gli osservatori del Santos (fresco campione del Brasileirão 2004) notano subito il suo infinito talento. Dal 2006 al 2008 conquista tutto a livello giovanile, tanto da guadagnarsi un posto nella nazionale sub-20 verdeoro. Da quel momento il suo nome inizia a circolare sui giornali e sui taccuini degli scout di mezza Europa. L’anno seguente avviene la consacrazione.

I primi successi da professionista
Nel 2009, a soli vent’anni e ad appena un anno dall’esordio tra i professionisti, con otto gol e quattro assist è nominato “miglior debuttante dell’anno”, in una squadra in cui muoveva i primi passi Neymar, suo gemello calcistico ai tempi del Peixe. Il 2010 riserba ancora più successi al giovane Ganso. Il Santos vince grazie a lui e O’ Ney il Campionato Paulista e per la prima volta la Supercoppa brasiliana. Arriva anche la prima chiamata di Mano Menezes per giocare delle amichevoli con la nazionale maggiore. La stampa parla di lui e il mondo guarda con sempre maggior interesse i progressi nella carriera del numero 10, in quel momento uno dei maggiori prospetti del calcio brasiliano. Nel 2011, a soli 22 anni, con la maglia numero 10 sulle spalle, guida i suoi alla conquista del Campionato Paulista e alla storica vittoria della Copa Libertadores. Sembra il momento giusto per il grande salto oltre oceano, i club in Europa interessati a lui ci sono da anni, ma quello che fino a quel momento più li frena è la sua propensione agli infortuni. Ad appena 22 anni Ganso ha infatti già subito due operazioni al ginocchio sinistro.

Qualcosa non va
Nel 2012 arriva una svolta improvvisa alla sua carriera. Nonostante la clausola da 54 milioni di euro, il Santos vende il suo numero dieci agli storici rivali del São Paulo per la modesta cifra di nove milioni. La nuova avventura paulista si apre nel migliore dei modi con la vittoria della Recopa Sudamericana. Nessuno in quel momento poteva aspettarsi che sarà l’ultimo trofeo di Ganso in carriera.

Dopo anni in chiaroscuro, dove colleziona 148 presenze e 17 gol, arriva la tanto agognata chiamata dall’Europa. Il Siviglia vede ancora nel ventiseienne i bagliori di talento degli anni al Santos. Nel 2016 si trasferisce in Spagna, gli addetti ai lavori sperano di rivedere sprazzi del futebol ammirati nei primi anni in patria. Purtroppo però non è così. Gli infortuni sono continuati anche durante l’esperienza al Tricolor, questi lo hanno reso più lento e compassato per il ritmo veloce del calcio spagnolo. L’avventura a Siviglia finisce appena due anni e diciotto presenze dopo, con quattro gol all’attivo. Una breve parentesi di sei mesi all’Amiens in Francia separa Ganso dal rientro in patria.

Il giocatore che arriva al Fluminense non è più la stella del Santos e nemmeno il buon giocatore del São Paulo, ma anche la squadra in cui approda non è più il Tetracampeão degli anni passati. Il Fluminense del 2019 è una squadra priva di ambizioni che lotta ogni domenica per non retrocedere. Forse però è la squadra che più gli assomiglia in questo momento. Sì perché Ganso e il Fluminense sono come due nobili decaduti che devono guardare al passato per poter tornare a vedere il loro meglio.
È questa la maledizione dell’apelido Ganso, il cigno diventato troppo presto brutto anatroccolo.