Nell’incantevole cornice di Lugano, sede del ritiro estivo nerazzurro, non poteva che scoccare puntuale come un orologio svizzero il primo successo interista, seppur ufficioso, dell’era Conte. Ma si sa, chi ben comincia...

Farlo sotto gli occhi dell’amico professionale di una vita Beppe Marotta, poi, dà ancora più soddisfazione. 

E quelli dei milioni di tifosi interisti davanti alla tv? Non posso farmi portavoce del popolo ma mi associo a coloro che come me, una volta per tutte, han coscientemente appreso che farsi rappresentare in panchina dall’eterno nemico bianconero poi non è così male.

Quando Suning decise di pianificare il progetto Inter partendo “dall’alto”, bussare alla regina incontrastata degli ultimi anni non deve esser stato così difficile. Ma in fondo non ce n'è stato bisogno, perchè il corso degli eventi ha fatto sì che proprio quei due uomini fidati di Andrea Agnelli, Marotta e Conte, protagonisti di quella risalita bianconera da anni nefasti, iniziati con lo scandalo di Calciopoli, si ritrovassero stagioni dopo all’Inter, conseguenza di prese di posizione assai discutibili. 

Beppe Marotta, talento indiscusso del management, competenza che ha rappresentato il tallone d’Achille di decenni societari interisti orfani di figure di spessore come Italo Allodi, colonna portante della Grande Inter anni ‘60, ha sposato la causa nerazzurra con l’intento di porre un freno alle palesi ed evidenti lacune dirigenziali, che come detto non sono mai state sufficientemente colmate dalle precedenti proprietà. E come spesso accade, chi vince nello sport lo fa perchè è stato il più abile a pescare i migliori, portandoseli in casa e Beppe ha sempre fatto le fortune di chi ha servito, gli anni blucerchiati sotto i Garrone insegnano. La decisione di Agnelli di liquidare il suo amministratore delegato dopo anni di successi per dare maggior potere operativo al nuovo che avanza, Fabio Paratici, ha fatto maturare nel dirigente varesino quella voglia di rivalsa nei confronti di chi lo ha abbandonato senza la minima riconoscenza. Per farlo ha sposato un progetto ambizioso intento a soverchiare quella monotona dinastia a tinte bianconere, che diciamocelo, ha stancato un po’ tutti.

Ma tutto questo non basta e le grandi società necessitano anche di top coach che governino lo spogliatoio e Conte ha sempre dimostrato di esserlo fin dalla prima vera esperienza, quella aretìna, per poi consacrarsi sulla panchina più scudettata d’Italia.
Voluto fortemente da Marotta in quell’estate di otto anni fa, ha portato in alto la bandiera bianconera, sventolata più che mai con orgoglio nel maggio tricolore del 2012 come capopopolo, simbolo di rivalsa juventina dopo la sofferta risalita post Calciopoli. Abbandona la nave col vessillo del suo cuore nel 2014, ma molti dei suoi uomini li ritroverà in Nazionale in quella splendida campagna europea nell’estate 2016.
Ed ecco il biennio al Chelsea fatto di successi, timbro di fabbrica costante del leccese, e dopo un anno sabbatico fatto di riflessioni, arriva il matrimonio con l’Inter,  nonostante sapesse benissimo che quella decisione avrebbe messo a repentaglio un amore apparentemente indissolubile con l’ambiente bianconero e che nessuno avrebbe mai potuto scalfire. La petizione indotta da molti tifosi affinchè venisse rimossa la sua stella fuori dall’Allianz Stadium ha rappresentato al mondo tutto il dolore, sportivamente parlando, che una scelta professionale può infliggere anche a chi più ti ama.

Ma Antonio non è abituato a guardarsi indietro, solo avanti, soprattutto ora che lo può fare mentre a testa alta s’incammina verso una nuova sfida, abbracciato stretto al suo Beppe, come due amici inseparabili, consci entrambi di aver fatto le fortune dell’altro e che c’è ancora tanto da conquistare insieme.