Qualche decina d'anni fa per conoscere il pensiero di un calciatore famoso era necessario cercare nelle pagine dei giornali sportivi interviste o dichiarazioni, e da poche parole carpite spesso si riusciva a creare un mito e un moto da esportare con orgoglio. Altri tempi. Da piccolo, non avevo ancora l'età scolare, ebbi la fortuna di ricevere un gagliardetto milanista con tanto di dedica di colui che me l'aveva donato, Albertino Bigon. E, giorni dopo, timido e confuso munito di carta e penna, spinto da mio zio, uno juventino sfegatato, a ridosso di un campo d'allenamento nel ritiro rossonero di Vipiteno, ottenni un autografo e una carezza sulla testa da un calciatore importante, importante per mio padre. Era Rivera, il suo idolo. Emozioni forti per piccoli episodi. Emozioni delle quali siamo stati, in parte, privati dall'impertinenza di tecnologia, media e socialnetwork che ci hanno svelato tutto o quasi dei nostri idoli della pedata, facendo sparire come d'incanto quell'alone di mistero che a lungo li ha avvolti e resi quasi leggenda. Fino a vent'anni fa, poco si conosceva dei calciatori, anche i più famosi, se non le gesta compiute in campo o i loro atteggiamenti identificativi che erano poi materia di orgoglioso confronto tra tifosi. Quasi una gara tra chi ne sapeva di più. Dal saltello pre-rincorsa nel battere un rigore di Van Basten, ai sorrisi ironici maliziosi di Platini o quelli più enfatizzati di Maradona, dal braccio alzato di Baresi al masticamento continuo di chewing-gum di Collovati piuttosto che i palleggi a mo' di foca di Nappi quand'era gasato o fresco autore di un golazo. Poco importava cosa facessero a fine partita, non appassionava. Ora i social ci fanno conoscere in tempo reale pensieri, gesta, capigliature, stati d'animo e conquiste amorose di tanti calciatori e persone a loro vicine. Non ultimi i dispendiosi acquisti da veri divi dello sport. Le discussioni familiari rese pubbliche su fb o le battaglie legali con provocazioni postate su instagram, e ancora tweet più o meno volgari di mogli ferite da allenatori che accantonano i loro mariti, passando per rivendicazioni di rapporti sessuali avuti con questa o quella tra i più "maci" o presunti tali, sono le situazioni più in voga nei social. Social che espongono i loro protagonisti a processi mediatici in pubblica piazza e ne fanno di loro obiettivi concreti di sfottò da stadio. Effetti collaterali che inevibilmente hanno un peso anche sul rendimento in campo degli interessati. Un livello di esposizione mediatica che fa dubitare delle reali capacità di restare agganciati alla realtà da parte dei protagonisti e che porta a considerarli semplicemente dei drogati di notorietà. Ma in fondo, come direbbe Mino Raiola, l'importante è che se ne parli.......perché il business è dietro l'angolo. Solo 15-20 anni fa, noi tifosi, percepivamo i nostri beniamini come mostri sacri da idolatrare ed emulare, scrutare ed applaudire consci di non poterli avvicinare. Stadi e tv erano gli strumenti necessari ed esclusivi per viverli ed ammirarli e nulla più. Ora, per mettersi in contatto e avvicinarsi e' sufficiente chiedere loro l'amicizia in fb o commentare i loro post semplicemente pigiando un tasto sullo smartphone, senza fatica e senza emozione. Eppure i socialnetwork sono un modo diretto e democratico per esprimere le proprie idee e farle conoscere in ogni dove. Un bel passo avanti per un mondo pallonaro ermetico nel quale dichiarazioni o conferenze stampa sono sempre state rigorosamente preparate a tavolino tra il banale e l'ovvio. I social, in tal senso, si possono considerare una sorta di risposta, quasi eversiva, alle regole e ai dettami spesso incatenanti, inflitti ai calciatori, dalle loro società di appartenenza in nome della sacralità dello spogliatoio e delle regole del gruppo. Il socialnetwork altro non è che uno strumento di comunicazione messo a disposizione della collettività e sta al singolo individuo decidere come usarlo in una sorta di libero arbitrio. Ma poi è l'opinione pubblica chiamata a valutare ciò che vede e che legge essendo il giudice unico, quello senza abito nero ma altrettanto duro e irreprensibile, e le sue sentenze non ammettono repliche ne sconti. Tra libertà di parola e distrazione, al calciatore moderno è consentito tutto ma è il tifoso il vero penalizzato e gli stadi vuoti e desolanti .......