La FIGC ha eletto il suo nuovo presidente, un personaggio folcloristico per certi versi ma pure indecente per competenza e opportunità. Un personaggio spesso fuori dalle righe e dal seminato, inadeguato a certi livelli e per certi ruoli. Un leit-motive molto italiano. Tavecchio presidente per cambiare poco o niente, questo avrebbe potuto essere uno slogan del suo avversario ma è pure l'unica realtà garantita dalla sua elezione. Troppo ingessato il sistema Italia per rinverdire certi ruoli ed abbattere molte lobby. E l'elezione di un uomo organico al sistema è garanzia di continuità e quindi di arretramento. Arretramento, perché il sistema calcio del Bel paese rapportato a nazioni vicine manca della voglia e dell'interesse di crescere, di modernizzarsi, di rinnovarsi e ripulirsi da vecchi stracci. Nazionali e club, facce di una stessa medaglia, con i loro fallimenti continui negli ultimi anni sono il risultato inevitabile di questo deficitario, per usare una definizione accomodante, management. Mancano regole o leggi e quando ci sono non vengono applicate. Vecchie storie. In Italia il futuro del calcio, appare oggi, alquanto oscuro. Stadi e strutture obsoleti, spesso insicuri, altre volte privi dei requisiti minimi richiesti per l'agibilità degli stessi. Mentre altrove, Inghilterra in primis, lo stadio è il posto più sicuro, o quasi, per portare i propri figli a partecipare ad eventi di massa e ciò genera entrate, guadagni propedeutici allo sviluppo stesso del calcio e del suo indotto. Altro aspetto mai seriamente combattuto è la cultura tutt'altro che sportiva, che vige in Italia, generatrice di scontri tra tifosi spesso violenti talvolta mortali. E la violenza impunita genera altra violenza. E nulla mai cambia eventualmente si acuisce. Con l'escalation della violenza da stadio inevitabilmente lo stadio stesso si svuota di tifosi e si riempie di facinorosi. In un sistema tanto malato e corrotto le scommesse clandestine, il vendersi le partite o cercare l'imbroglio in ogni dove, è una conseguenza quasi naturale. Palesemente insufficiente, se paragonato con altre realtà estere, è il campionato primavera che non permette ai ns ragazzi di maturare presto confrontandosi con calciatori di età superiori e di qui la necessità di inserire la seconda squadra sul modello spagnolo. Politica e sistema calcio corrotti hanno prodotto anche l'incapacità di sfruttare un mondiale casalingo, quello del '90, casa che avrebbe potuto e dovuto modernizzare tutte le principali strutture per far calcio e non solo. Valutando i risultati fallimentari di club e nazionali negli ultimi anni c'è da rilevare che la principale responsabilta e' da ricondursi allo scadimento tecnico del materiale umano e che la causa principe è l'abbandono dei settori giovanili che si pagherà inevitabilmente nel lungo periodo, anche se da qualche anno a questa parte, c'è una leggera, ancora assai insufficiente, inversione di tendenza. In un ampio bacino si possono pescare tanti potenziali talenti mentre se il bacino d'utenza è ristretto inevitabilmente la base sulla quale creare le fondamenta del ns. calcio sarà ridotta nel numero e nello spessore tecnico. Alla base di tali insuccessi su tutto il fronte del mondo calcio c'è la forte miopia del management che ha condotto il calcio italiano negli ultimi anni, il quale si è preoccupato esclusivamente di sviluppare le entrate dai diritti tv dando e chiedendo spazio sempre maggiore per gli stranieri spesso di livello mediocre ma propedeutici all'interesse e curiosità del tifoso che è poi colui che paga le tv, dimenticandosi che le fortune del calcio italiano nei club e in nazionale lo si deve ad una dorsale italiana rilevante. La storia parla chiaro e descrive un calcio italiano che i migliori risultati li ha sempre ottenuti quando, al campionato potevano parteciparvi pochi calciatori stranieri o nessun di loro. E l'ultimo acuto a livello di nazionale lo si è avuto nel mondiale tedesco del 2006 vinto con merito e con un gruppo di calciatori nati tra gli anni '70 e '80 con frontiere chiuse o parzialmente riaperte in cui i giovani italiani avevano il tempo ed il dovere di affermarsi. Un futuro poco promettente almeno nel medio periodo ma se l'imprenditoria del calcio cambierà orientamento allora, solo allora, si potrà intravvedere la luce magari ispirati dalla crisi economica che richiede sempre più professionalità e capacità manageriali a 360 gradi. Ora il neo CT Antonio Conte è chiamato a risollevare le sorti di una nazionale ormai stremata da un susseguirsi d'insuccessi e forse, almeno in questo, è stato scelto l'uomo giusto. Non tanto per modulo o scelta d'interpreti che poco si può discostare da scelte di qualsiasi altro precedente o futuribile tecnico ma per tipo di mentalità. Conte ha una forte leadership che difficilmente giunge a patti con le logiche dei club e soprattutto ha la capacità di far sputare sangue anche ai più pigri. O così o fuori. Con le basi sopra scritte non ci si possono attendere miracoli ma almeno tanta buona volontà e voglia di dar tutto poi per un ulteriore salto di qualità serviranno i campioni che, per ora, non trovano l'humus per svilupparsi o affermarsi.