Mi perdonino gli eredi del grande Fausto Coppi se prendo in prestito le parole di Maurizio Ferretti, ma raramente nel calcio è stato possibile ricondurre le vicissitudini negative di una squadra all'operato di una singola persona, come nel caso del Napoli.

Quello che poteva trasformarsi in un trampolino di lancio per creare un gap incolmabile verso le rivali ha assunto i connotati di un dono indesiderato. Il Napoli ha scelto di rinunciare al ruolo di "Grande" del calcio italiano, rimanendo nella sua piccola borghesia.
Possiamo affermare che le vicende accadute a Napoli in questi mesi costruiscono materiale per qualsiasi corso di formazione per dirigenti sportivi.

Argomento: come distruggere un vantaggio competitivo
Riavvolgiamo il nastro di 4 mesi, e immaginiamo uno scenario dove da una parte c'è una città in tripudio per lo Scudetto, un allenatore portato in trionfo, una rosa con giocatori invidiati da tutti i top club europei. Una società finanziariamente sana, con la possibilità di investire. Dall'altro lato ci sono le tre grandi del Nord, a leccarsi le ferite, per diversi motivi. C'è chi ha subito sanzioni che le hanno tolto le coppe (ed i milioni che comportano); c'è chi deve mettersi col cappello in mano per supplicare condizioni economiche favorevoli ad ogni trattativa, c'è chi è alle prese con una rivoluzione dirigenziale e della rosa. Tutto questo basterebbe, ad una dirigenza lungimirante, per comprendere che ci sono le basi per creare un vantaggio competitivo pluriennale. Aprire un gap destinato a consacrare il Napoli con un ciclo di vittorie.

Non a Napoli, non nel feudo di Aurelio de Laurentiis, autoproclamatosi imperatore di Castel Volturno.

I giocatori più rappresentativi hanno situazioni contrattuali precarie, nonostante rinnovi sbandierati ai quattro venti dal Presidentissimo come cosa fatta. Il tecnico è stato prima delegittimato, poi commissariato ed infine umiliato durante l'ultimo match, quando all'intervallo l'Imperatore è scegli negli spogliatoi, ha zittito l'allenatore e ha tenuto il discorso alla squadra. La scelta di Mazzarri parla da sola, poichè avvenuta in quanto unico dei contattati ad accettare soli 7 mesi di contratto (e forse, aggiungo io, anche il più malleabile verso i diktat presidenziali).

Come si comporteranno i calciatori verso un allenatore che non può essere visto come un downgrade e che la prossima stagione, comunque andrà, quasi sicuramente non sarà più in panchina? Se è vero che le società di calcio sono aziende, in una industria in continua e veloce evoluzione, che appeal può avere essere allenati da Mazzarri? Da un allenatore che solo pochi giorni fa, in una intervista ad un noto quotidiano sportivo, afferma "Con l'esperienza di oggi non avrei accettato l'Inter, perchè là devi competere sempre per i primi tre posti, anche se non hai la rosa".  Significa che al Napoli questo "obbligo" di competere per i vertici non c'è?

Nel frattempo la squadra è scivolata a -10 dal vertice, a -10 da quelle stesse squadre che solo pochi mesi fa non potevano altro che ammirare la superiorità degli azzurri.
Al Presidente nonostante tutto non manca l'amore della folla, che ancora non lo contesta. Oggi il nemico dichiarato è Rudi Garcia. Ma nessuno che si chiede chi lo ha scelto, e nessuno che si domanda perchè, in fin dei conti, non ci fosse la fila per allenare il Napoli.

Vincere non è facile, saperlo fare è ancora più difficile.