Questo mio articolo corre il serio rischio di cadere nella retorica. E c'è persino il pericolo che esso possa essere interpretato come retorico quand'anche io riesca a tenermi lontano da ogni forma e spirito del genere, talmente si è abituati a considerare ciò di cui io intendo parlare come qualcosa di estraneo alla realtà attuale, ai tempi dell'oggi. Di cosa voglio parlare? Di valori umani! Essendo un uomo tra gli uomini, questa scelta dovrebbe portarmi al massimo all'accusa di essere stato ovvio; ed invece no, il termine che potrebbe essermi affibbiato è proprio quello di retorico. Il fatto è che il Calcio, come tutto il resto di cui ci occupiamo nella nostra vita, è così perfettamente incastonato in un meccanismo sociale ed economico sovraindividuale, che ogni cosa che evochi in qualche modo l'individuo come tale, nella sua purezza, nella sua irriducibilità, fuori da quel prototipo di "individuo" a cui dovremmo conformarci, viene visto come qualcosa di antico, come un'operazione nostalgica, ai limiti del letterario; in parole povere, sempre come retorico. Fatta questa premessa, che comunque non mi rende affatto immune a priori da una qualunque caduta nella demagogia, ma che ho voluto fare allo scopo di rendere nota la mia forte consapevolezza ed analiticità nell'affrontare l'argomento, comincio ad esporre con passione umana ciò che intendo dire.

Oggi il Calcio reale assomiglia terribilmente alla sua controparte virtuale.

Ecco il primo tasto che devo maneggiare con delicatezza, perché in quella sorta di "massima", peraltro non affatto nuova, c'è la prima trappola che può farmi incappare nelle maglie della retorica. Tuttavia, lo dobbiamo ammettere, non possiamo più nascondercelo: il calcio reale assomiglia sempre più a quello della Playstation. E questa terribile somiglianza non è limitata all'aspetto tecnico, al fatto cioè che i calciatori veri sembrino assomigliarsi praticamente tutti, come se le loro movenze fossero predefinite alla stregua di quegli algoritmi che formano i calciatori "pixellati", ma si estende, ancor più terribilmente, anche al profilo umano, per quel poco che di umano c'è in un gioco virtuale, limitato ovviamente alla mente dei suoi creatori.

Comincio con l'aspetto meno importante, quello prettamente calcistico. Tatticamente, tutte le squadre si assomigliano, mostrando una similitudine tanto accentuata che si avvicina più ad una omologazione. Basti pensare al fatto che sono diventate una sorta di regole non scritte il far partire l'azione col palleggio da dietro e il tenere il più possibile il possesso palla; una prerogativa, quest'ultima, che se viene ceduta all'avversario è solo per necessità, per difetto di forza, mai per volontà reale. Le squadre marcano tutte a zona, mentre ogni forma di ibridazione tattica (una volta quantomeno esisteva la zona mista) viene vista quasi come una offesa ad un calcio che deve apparire "totale" (un modo filosofico per abbellire l'omologazione). La ragione alla base di questa nuova ed omologante fenomenologia calcistica risiede nel volersi conformare a certi modelli, o forse dovrei dire il doversi conformare a certi modelli. Il punto è che l'industrializzazione del Calcio, con la sua relativa "socializzazione", ha indotto inesorabilmente alla creazione di modelli univoci. E questo perché l'industrializzazione di un determinato prodotto rende la sua produzione molto veloce, con la conseguente necessità di spingere la massa a consumarlo con la medesima rapidità con cui viene immesso sul mercato, e questo può avvenire soltanto creando modelli immediatamente fruibili, che non richiedano lunghi tempi di riflessione nel fruitore. Il prodotto "gioco" deve essere subito utilizzabile, acquistabile, comprensibile. Tutto deve essere chiaro, evidente e monocorde. La tattica, le regole, e persino le movenze dei calciatori devono essere improntate a forme che richiamino immediatamente a qualcosa di familiare. E' come quello che accade nel mercato automobilistico, dove oggi per riuscire ad individuare delle differenze nel design tra le varie marche d'automobili bisogna fare uno sforzo d'immaginazione, quello sforzo d'immaginazione che non ha invece fatto proprio chi le ha prodotte. E quello che vale per il gioco di squadra, vale per i suoi interpreti. E' vero, non posso negarlo (ecco un rischio di essere retorici) che continuano a persistere, grazie alle diverse caratteristiche fisiche, tipi diversi di calciatori già a partire dalle loro semplici movenze, ma resta il fatto che all'interno di ciascuno di quei tipi tecnici c'è un appiattimento verso un modello univoco, tanto è vero che, ad esempio, i piccoletti alla Sterling presentano tutti movimenti e giocate ai limiti del predefinito, dell'algoritmo. La cosa più preoccupante, oserei dire terrificante (correndo un più grande rischio retorico) è, come già accennato, la somiglianza tra i calciatori persino sul piano umano. Cosa intendo? Basta pensare a quelle manifestazioni social, che appaiono invero più delle coazioni a ripetere, nelle quali i calciatori vengono richiamati, quasi come gli animali in una jungla, per cimentarsi in stupidissimi giochi (mi ricordo quello di svitare il tappo di una bottiglia con una semi rovesciata, o quella di farsi fare una doccia d'acqua gelata). Fenomeni tipicamente contemporanei che hanno la durata di poche ore. Siamo evidentemente lontano anni luce da quel passaggio di borraccia di Bartali a Coppi, o di Coppi a Bartali, che ha fatto tanto epoca da diventare un'icona non solo di uno sport ma dell'intero genere umano. Persino nei bei gesti di solidarietà, i calciatori attuali non riescono a presentarsi come profondamente umani, tanto sono retorici (loro sì) nell'effettuarli, con una affettazione che rientra nel puro stereotipo. Trovare un calciatore che ragioni come Rivera, che ironizzi come Platini, che polemizzi come Maradona, è una vera caccia al tesoro. E come lo si è trovato così lo si perde subito nel mare dell'ignoto, per il semplice fatto che a cercarlo non è stata la maggioranza, e neanche una piccola minoranza, ma un esiguo numero di persone, un esiguo numero che è la ragione stessa per cui quell'uomo all'interno di tanti calciatori algoritmici non emergeva. Insomma, i calciatori appaiono (e lo sono per davvero) come appartenenti ad un mondo proprio, lontano dalle vicissitudini reali, dalle quali vengono toccati solo incidentalmente. Sembra davvero che risiedano in una console della Playstation, in previsione di essere riaccesi nell'occasione di una partita. Ovviamente, e questa è l'ancora di salvataggio che non potremo mai perdere, questi calciatori e tifosi sono pur sempre uomini, ma è un'ancora che bisogna ben piazzare affinché ci si fermi per qualche momento a pensare e non a vivere solo secondo un istinto sociale.

Abbiamo fame di uomini

Quando ci si trova davanti ad un veleno bisogna trovare l'antidoto, ma quando ci si trova di fronte ad una malattia generata dal nostro stesso organismo, è proprio all'interno di questo che bisogna cercare le risorse per sconfiggere il male. In una mitica scena di C'era una volta il West, quella che precede il duello finale, Armonica (Charles Bronson), rispondendo al suo avversario Frank (Henry Fonda), che gli ha appena detto di considerarsi solo un uomo, afferma che l'uomo è una razza ormai vecchia, in estinzione, mentre sposta lo sguardo verso gli operai che sono intenti a costruire i binari della nuova stazione, un chiaro riferimento all'uomo sociale che avanza nella storia, quell'uomo sociale che soppianterà l'antica individualità. Sergio Leone mostra come sia inesorabile questa evoluzione, lasciando tuttavia, come ogni poeta tragico, uno spazio per la salvezza dell'umanità nell'altrettanto inesorabile trionfo del Bene sul male, metaforicamente evocato dalla vittoria di Armonica contro Frank nel duello. Ebbene, il poker di uomini (avrei potuto dire di assi, ma è del lato umano che evidentemente mi interessa qui e non di quello tecnico) a cui ho fatto riferimento nel titolo, nonché nell'immagine da me proposta, composto da Allegri, Sarri, Mourinho e Spalletti, rientra in quel tipo d'ancora di salvataggio a cui bisogna fare affidamento. Si tratta indiscutibilmente di quattro uomini, e non solo perché lo sono per natura, ma perché, sebbene coinvolti anch'essi in quel vortice d'industrializzazione del Calcio, sono riusciti, per la grande personalità che li caratterizza, a rimanere uomini anche come fenomeno sociale, anche come attori di un copione sin troppo banale. Siamo, per usare una nuova metafora cinematografica, al cospetto di quei grandissimi protagonisti che, all'interno di un film da cassetta, con sceneggiature scontate e troppo banalmente delineate, riescono con la loro semplice grandezza a rendere lo spettacolo godibile e persino accattivante, come accade, ad esempio, per molti film di Totò e Peppino. Già mi pregusto, io che ho quella fame di uomini, le polemiche tra ciascuno di quei quattro assi ed il sistema calcio, o qualunque sistema riusciranno ad inventarsi come nemico pur di giustificare i momenti di difficoltà. E non mancheranno le feroci polemiche tra di loro, i dispetti, quelle piccole disonestà fatte passare persino come echi di moralità e saggezza. Chissà quante volte il Var sarà buono e in altre uno strumento da abiurare, i giornalisti amici e poi nemici nel volgere di una battuta. Tutto questo, però, meschinità comprese, sarà ben lontano da quella ovvietà omologante che, pur basandosi sugli stessi clichè, non emerge mai da quei binari social su cui è indirizzata. Una ovvietà di Mourinho contro il potere, interpretata però alla sua maniera, potrà essere foriera di riflessioni più di quanto lo possa essere un ragionamento su una cosa profonda ma affrontata con un fare predefinito. Una stilettata dispettosa di Allegri, per evidenziare un difetto di un suo competitor, porterà ad interrogarsi su quello anche i tifosi ed estimatori dell'allenatore colpito. Una meschinità di Sarri, da personaggio del sottobosco metropolitano tipico del suo scrittore preferito (Bukovsky), susciterà un senso dell'umano sentire capace di oltrepassare in moralità ogni stereotipato discorso etico. Un aforisma di Spalletti, ai limiti dell'incomprensibile e dell'oscurità filosofica eraclitea, farà sorridere finanche coloro che non ci avranno capito nulla. Questi personaggi in cerca di pubblico (e non d'autore) susciteranno in noi tanti sentimenti, dall'amore all'odio, dalla simpatia alla antipatia, dalla sportività all'antisportività; sentimenti forti, appunto, non urla da cliché. Ci daranno una mano ad allenare quell'umanità che è in noi, che non aspetta altro che emergere. Sì, sui social, di sentimenti rozzi già ce ne è a bizzeffe, di odio poi manco a parlarne; ma si tratta di sentimenti indotti, categorizzati, di default, pixellati, da console, algoritmici. Con questi quattro uomini si potrà invece arrivare a sbandierare vessilli e a battagliare come una volta, cercando solide ragioni di fondo, finanche ad inventarsele se sarà necessario. Ci faranno esercitare, in sostanza, i sentimenti come autori degli stessi, in quanto frutto di riflessione. Nessuno sarà capace di dar loro torto per il semplice fatto di appartenere ad una squadra avversaria; dovremo mettercela tutta per motivare il nostro odio (sportivo); dovremo essere creativi, dovremo essere più uomini di calcio che clienti. Ci daranno lavoro da svolgere, insomma, sebbene l'ingaggio sarà tutto loro. D'altra parte, si tratta pur sempre di veri uomini all'interno di quell'inesorabile sistema sociale evocato da Sergio Leone. Buon divertimento, dunque, per il prossimo campionato!

Giuseppe Albano