Non di rado si critica Aurelio De Laurentiis, arrivando persino allo sberleffo, per quella meticolosità e maniacale attenzione con cui pretende che i suoi legali redigano i contratti regolanti i rapporti tra la Società Calcio Napoli, di cui è presidente, e i professionisti a cui affida le sorti della stessa nelle varie competizioni sportive: alludo, evidentemente ai contratti stipulati con allenatori e calciatori. Si imputa a De Laurentiis, in modo particolare, il fatto che si ostinerebbe nel non voler prendere coscienza delle presunte specificità contrattuali del mondo calcistico, in cui è approdato solo recentemente, rispetto alla normalità giuridica regolante i rapporti di lavoro all'interno del pianeta cinema, da cui proviene. In verità, tale singolare idea di una eccezione rappresentata dal calcio relativamente alla contrattualistica privata, fa il paio con quell'assurda abitudine di pensare a tale ambiente come ad una sorta di mondo a sé stante, un comune sentire che arriva in determinate situazioni al parossismo come quando, ad esempio, un accoltellatore all'interno di uno stadio viene fatto oggetto di una condanna, persino da parte dell'opinione pubblica, di gran lunga inferiore rispetto a quanto avviene nelle altre sfere della quotidianità. E questo vale per molte situazioni che configurerebbero, senza quell'idea di eccezionalità, pene molto più severe di quelle che poi vengono effettivamente comminate. Ritornando sull'argomento relativo ai contratti calcistici, il presidente del Napoli, a mio modo di vedere, adotta una giusta - e persino doverosa - concezione giuridica, non ammettendo alcuna eccezione che recepisca quell'assurda idea del calcio come un mondo a parte. Tra l'altro, proprio coloro (tifosi, giornalisti e addetti ai lavori) che spesso sbeffeggiano De Laurentiis, si trovano altrettanto spesso, quasi pagando una sorta di contrappasso, a lamentarsi di anomale situazioni di fine rapporto tra certe società calcistiche, a cui evidentemente tengono, e alcuni dei loro calciatori ed allenatori, situazioni nelle quali si vedono le proprietà clamorosamente e grottescamente impotenti anche di fronte a semplici capricci dei loro "dipendenti". Basti pensare al "caso Donnarumma", dove un contratto redatto con quella superficialità di cui il calcio scioccamente si vanta, ha posto il Milan di fronte alla necessità di accettare la perdita "a zero" di un calciatore che per la società rappresentava, o meglio avrebbe potuto rappresentare, un autentico patrimonio tecnico ed economico. La cosa è diventata addirittura deprimente di fronte all'impotenza manifestata dal Milan (un'azienda capitalistica, non certo un negozietto), nonché dal calciatore stesso, rispetto all'apparente strapotere di un semplice, seppur scaltro, procuratore, il quale, in quanto appunto procuratore, avrebbe dovuto manifestare dei poteri conformi alla semplice figura di un mediatore giuridico e contrattuale, e non così esorbitanti da portarlo a dettare letteralmente legge (è proprio il caso di dire) rispetto ad un soggetto sulla carta molto più forte come un'azienda. Con Aurelio De Laurentis, una pantomima del genere non si sarebbe verificata, o quantomeno non si sarebbe vista quella schiacciante preponderanza del procuratore, che ha reso il rapporto tra i due soggetti giuridici ai limiti dell'unilateralità! ... una unilateralità chiamata Raiola!

Giuseppe Albano - IL DELFINO