Ci vuole una grande onestà intellettuale e una certa capacità di autoanalisi per guardare con ferocia nell'intimo del popolo a cui si appartiene. Forse posso essere considerato poco abile nella seconda di queste virtù, ma spero mi si riconosca almeno la capacità di tenere fermo sulla prima: l'onestà intellettuale.
Se fossi uno sciocco complottista, o quantomeno un vanaglorioso, potrei azzardarmi a pensare che a Napoli si stia facendo scientemente di tutto per lusingarmi circa la veridicità di quello slogan con cui ho deciso di indentificarmi: "Non posso affatto escludere che, un giorno, io rimanga l'unico napoletano non infettato dal neomelodismo. In quel caso, potrò urlare: "Io sono leggenda!"
 
Obiettivamente, per quanto io possa essere narcisista, penso di essere troppo poco importante perché si decida di mettere in scena apposta per me quella che sarebbe la più grande farsa mai ideata da una intera comunità per fare uno scherzo ad uno solo dei suoi componenti. Dovendo pertanto escludere questa eventualità (che ovviamente è solo una boutade, sebbene ampiamente preferibile rispetto a ciò che sta realmente accadendo dalle mie parti), non posso che concentrarmi sulla serietà della situazione in essere. Mi riferisco al fatto che a Napoli, antico baluardo della civiltà mondiale, è in atto un processo di degradazione civile che appare irreversibile, non foss'altro che per quell'accelerazione con cui va avanti. Volendo usare una metafora fisico-spaziale, è come quando un'astronave precipita verso un buco nero: l'accelerazione cresce quanto più ci si avvicina ad esso, fino alla dissoluzione finale nel centro di quel vortice, nella cosiddetta singolarità. A Napoli, ormai, non c'è più spazio e tempo (è proprio il caso di dire) per ridere di ciò che sta avvenendo. E che cosa sta avvenendo?! ...A cosa mi riferisco?! Molti già staranno pensando alla camorra o, comunque, a quei soliti quanto proverbiali fenomeni di degrado sociale. E questi stessi staranno pure pensando che io abbia deciso di affrontare tematiche che solo incidentalmente toccano il tema che deve essere caro ad un blog del genere: il gioco del Calcio. Volesse il cielo, amici e fratelli di altre parti della penisola, si trattasse delle solite ed ataviche problematiche che imperversano a Napoli come in qualunque altra metropoli. Non che io non mi preoccupi per quelle conosciutissime perversioni, tuttavia c'è da sottolineare che, pur nella loro durezza, esse sono comunque affrontabili e superabili attraverso un grande impegno sociale e politico; e questo perché si tratta di processi reversibili, come tutti quelli che riguardano il degrado fisico di una parte del sistema e non del sistema nella sua organicità. Se avrete un po' di pazienza, vedrete che c'entra anche il Calcio in questo mio ragionamento, e non solo incidentalmente, ma in maniera molto profonda, e proprio per quel suo rappresentare una forma di passione diffusa, che, in quanto tale, non può non manifestarsi secondo quella organicità che è la cultura di un popolo. E' da tempo che io cerco invano di far comprendere che nella mia cara città vi è in atto un processo di terrificante omologazioneappiattimento culturale a causa di quella ormai secolare passività nell'affrontare la vita, sia sul piano sociale che su quello politico, frutto di una situazione geopolitica che vede noi napoletani come un popolo assistito nel suo agire più che protagonista dello stesso. In sostanza, a forza di essere inermi storicamente, di essere non produttivi, non autori del proprio vivere, si finisce inesorabilmente con l'assorbire in maniera passiva le culture altrui, fermo restando che una tale assimilazione è normale ed ovvia. Ma laddove questo processo di assorbimento, un fenomeno inevitabile per chiunque in questo mondo globalizzato, è appunto passivo, e non attivo come dovrebbe avvenire, quelle culture introitate non vengono metabolizzate fino al punto di farle diventare un qualcosa di proprio, di autentico e di originale, ma finiscono col rimanere in superficie, come una nuova quanto ingiustificabile pelle. E così, in sostanza, accade che si generi solo un ridicolo scimmiottamento di quelle culture e non una loro rilettura in chiave propria ed originale. Per fare un esempio di napoletanità autentica e creativa, si pensi a Pino Daniele. Il grande cantautore prese certamente spunti per la sua musica da generi tipici di altre culture, come il blues, il rock, il jazz ecc. ecc., tuttavia egli seppe magistralmente e creativamente mescolarli sino ad ottenere un qualcosa di originale: 'a music 'e Pino Daniele! Prendiamo, invece, i neomelodici, da me tante volte evocati come metafora di quella Napoli in dissoluzione. La loro "musica" (che certamente musica non è) non consiste in altro che nel prendere in prestito sonorità (e pure banali) prodotte fuori Napoli per poi tradurle tal quali in un improbabile dialetto napoletano (che dialetto napoletano non è, ma un linguaggio barbarico, affrettato e affettato, insipiente ed inconsistente, a sua volta un paradossale italiano tradotto secondo quelle inflessioni a cui i loro autori sono abituati dalla nascita). In parole povere, in quella musica non c'è assolutamente nulla, e questo è troppo poco, a meno che non si voglia filosoficamente attribuire una consistenza al "nulla" stesso. Mi si chiederà come mai io mi concentri (mi fissi) su questo fenomeno barbarico locale invece di bearmi delle cose napoletane ancora improntate alla cultura. Il motivo è che queste ultime o rappresentano, quando si tratta davvero di cose intellettualistiche, delle semplici eccezioni, che però non sono affatto il vertice di una cultura popolare, come avveniva per le creazioni grandi del passato (le cose grandi possono nascere e sopravvivere solo se prendono forma dal fuoco popolare) oppure sono la manifestazione semplicemente più "aulica" di quel neomelodismo stesso, che persiste nel fondo. Vi sembrerà strano, eppure c'è molta più genuinità e senso in queste ultime che nelle prime, sempre per quella stessa ragione espressa poc'anzi: dei solisti autenticamente grandi non possono che nascere da un coro popolare. Persino la camorra, per quanto ciò possa apparire agghiacciante, è più veritiera e conforme alla realtà napoletana rispetto a tante voci che vi si oppongono ma che non comprendendo la vera matrice sottoculturale di questo fenomeno, finendo col rappresentare sempre e solo delle eccezioni incapaci di fare realmente breccia nella regola del vivere generale. Ecco che adesso, come vi avevo promesso, nel mio articolo si paleserà magicamente il Calcio, nella veste dell'attuale tifo per la squadra del Napoli. Come per tutto il resto, infatti, anche all'interno di questa passione, a suo modo certamente un'espressione di cultura popolare, sta avvenendo quel neomelodico assorbimento irriflessivo di tendenze esterne alla città. E' ovvio che, come avviene in tutte le tifoserie delle altre realtà italiane, anche l'antica e folcloristica passione calcistica napoletana si conformi a quel modo, già di per sé omologante, di vivere il calcio come prodotto industriale, che si traduce spesso in una mania azionistica di accumulare vittorie; tuttavia, proprio per quell'immobilismo produttivo che caratterizza il mio popolo, sia sociale che individuale (un immobilismo che si traduce in una inerzia psicologica, si badi bene), quell'assorbimento, come nell'esempio da me fatto sulla musica, finisce col rappresentare un mero scimmiottamento di cose che non si ha la capacità di metabolizzare, di fare proprie e di tradurre in qualcosa di originale. In sostanza, quell'omologazione al Calcio come prodotto di mercato diventa, nel tifo napoletano, un motivo per sentirsi realmente industrializzati e capitalistici; ci si sente ricchi e potenti, insomma, così come i cantanti neomelodici si sentono davvero musicisti e compositori. Così si spiega (e mi rivolgo in particolar modo agli juventini che ne sono colpiti) quella grottesca juventinizzazione del tifoso napoletano, che si traduce in quella assurda pretesa di vincere, una pretesa invece del tutto naturale nei loro rivali. In parole povere, si vede il fenomeno del neomelodismo insinuarsi anche all'interno del tifo. E non potrebbe essere altrimenti, rappresentando la passione calcistica nient'altro che una forma culturale, come tutti i fenomeni popolari.
Ed ecco, dunque, che, proprio come accade nelle altre cose, anche nel tifo, il neomelodico si presenta in tutto il suo scimmiottare; e si palesa pure, e ancor più grottescamente, nella figura del tifoso di un certo livello. Anzi, più il tifoso napoletano vuole palesarsi come colto, più paradossalmente appare neomelodico. Più il tifoso colto si vuole affrancare dal popolino, fino a disprezzarlo, più ne esprime in realtà quella sottocultura da scimmiottamento; semplicemente interpreta il proprio neomelodismo presumendo di esserne immune, e solo perché parla meglio e si può fare intellettualmente bello. E' come quei napoletani che, pur essendo sinceramente contro la camorra, psicologicamente si esprimono con quella stessa sottocultura dell'asservimento, della ricerca consociativa dei beni e del consenso che sono le prerogative di quelle parti deviate della città. E così, come ironicamente già da me fatto apparire nel titolo che ho dato a questo articolo, si vedono dei "vomeresi" (la parte "alta" della città) che, con quella loro proverbiale inflessione nobilesca, condita da una "r" moscia, si atteggiano a napoletani che pretendono scudetti e Champions, che affermano con forza nobiliare di non potersi accontentare di quel "poco" che De Laurentiis offre al loro nobile appetito. Tante persone del Nord, che spesso assecondano lo spirito insipidamente ribelle di questa parte della tifoseria napoletana, avente il proprio vertice neomelodico in quella cerchia che tappezza spesso le sacre vie della città con striscioni insensati ed insulsi contro il Presidente, non sanno che, con quella loro accondiscendenza, oltre a dare involontariamente man forte alla parte della tifoseria legata ad ambienti insani, partecipano come spettatori benevoli a quel teatrale scimmiottamento di cui ho parlato sopra. In tal senso, spero che questo mio articolo, nel suo piccolo, possa rappresentare un chiarimento in merito a tale equivoco.
Tornando ai "neomelodici vomeresi", come ho ribattezzato questi nobili della tifoseria ribelle, essi, nelle loro feroci rimostranze verso il Calcio Napoli, si atteggiano inconsapevolmente a juventini; e, cosa che li rende ancor più grotteschi, questo portamento lo mantengono anche quando manifestano quel loro atavico disprezzo per la juventinità. Non si accorgono che sputando nell'occhio dello juventino, sputano nel proprio. E che cosa c'è, miei cari e pazienti lettori, di più ridicolo, di più grottesco, in definitiva di più neomelodico, di uno che si sputa in un occhio da solo, e persino ignorandolo?!
Alla prossima, e scusate la lunghezza, che però spero mi verrà perdonata per lo sforzo di autoanalisi che ho dovuto fare, essendo napoletano io per primo!
 
Giuseppe Albano